Ferruccio Laviani: la casualità come modus operandi

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Molteni Dada, Hi line kitchen, 2007, photo courtesy

Un’attività iniziata quasi per caso che ha dato vita a lunghi rapporti continuativi, perché quello dell’art director è un lavoro di cesello da portare avanti negli anni con una buona dose di empatia oltre che di professionalità 

I tuoi inizi come art director

La mia “incoerenza formativa” mi ha condotto verso questo lavoro. Nel 1983, agli esordi della mia attività professionale, guardavo alla modalità progettuale di Ettore Sottsass con Olivetti, una pietra miliare per la sua visione a 360 gradi che abbraccia il mondo del design, dell’architettura, della grafica (basti pensare al contributo di Milton Glaser).

La mia fortuna fu quella di aver cominciato con Michele De Lucchi, come assistente prima e come socio poi, esperienza che mi permise di capire il significato del nostro ruolo nei confronti dell’azienda. De Lucchi “ereditò” da Sottsass la direzione artistica di Olivetti Synthesis mentre già svolgeva quel ruolo per marchi come RB Rossana con cui iniziai a confrontarmi e a capirne le dinamiche. Un’altra mia fortuna – in epoca analogica – fu quella di lavorare al fianco di un fotografo come Tom Vack: mettere l’occhio nella camera, realizzare gli impaginati, rapportarsi con il fotocompositore (un lavoro che non esiste più…), esperienze utili per potermi interfacciare con personalità che andavano oltre l’industrial design, dalla comunicazione, ai negozi, stand compresi.

Hai avuto dei punti di riferimento nel tuo lavoro?

Mi affascinava il lavoro di Antonio Citterio: con B&B Italia, Halifax, Flexform impresse per primo un percorso di comunicazione molto preciso.

Rodolfo Dordoni – amico e “fratello maggiore” – è per me un punto di riferimento, abbiamo condiviso molto tempo, spazi e lavori, poi cataloghi, allestimenti, foto nei teatri di posa. Da lui ho imparato molto, soprattutto lavorando in un ambito diverso dal mio, che nei primi anni era una sorta di nebulosa dai contorni indefiniti. L’esperienza con Rodolfo mi permise infatti di acquisire conoscenza nel settore della produzione dei mobili e delle relative tecniche produttive.

E poi sento la mancanza di Mendini, un vero signore… pungente divertente che ha lasciato umanità e visione.

Queste personalità hanno molto influito sul modo di vedere e affrontare il mio lavoro.

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Ferruccio Laviani, ph. Colecchia

L’esperienza con Kartell

Ho iniziato autonomamente nel ‘91, con la prima volta del Salone nel mese di aprile e non più a settembre. In quell’occasione fui chiamato da Claudio Luti, da poco entrato in Kartell: il primo stand fu realizzato con sei prodotti per mostrare il nuovo corso dell’azienda. Esponemmo i nuovi prodotti di Citterio, Starck, De Lucchi e Thun… Senza quasi volerlo mi ritrovai dentro, dapprima per il progetto dello stand e, dal ‘93 quando si aggiunsero i prodotti di Magistretti (Mauna Kea), Citterio (Sistema Oxo per i primi pc, porta stereo e tv), mi chiesero oltre agli stand anche le cartelle colori e le vetrine dei rivenditori (non c’erano ancora i negozi monomarca). All’apertura nel ‘96 del primo negozio fu chiara la necessità di una visione globale.

Il colore come ispirazione

Dopo l’università ho frequentato la SPD – Scuola Politecnica di Design, una delle prime scuole di design di Milano, dove fra i vari incredibili docenti come Bruno Munari, insegnava Narciso Silvestrini, uno dei maggiori esperti di colore in Italia. Riusciva a farti innamorare del colore, di cui mi ha fatto apprezzare tutto mostrandomi le cose in un altro modo.

Come instauri il rapporto con le aziende?

Non fosse stato per le casualità - come l'incontro con Luti grazie a Rudi von Wedel che curava le pubbliche relazioni per Kartell - non sarei stato capace di chiedere lavoro a nessuno. Le aziende vedevano ciò che facevo più di quanto io comunicassi, perché ho sempre lasciato gli altri davanti, senza puntare su me stesso come personalità. Prima fu Kartell, in seguito Foscarini per i prodotti, poi Moroso che seguii fino all’arrivo di Patricia Urquiola nel 2001, fino a pochi anni fa anche Molteni e Dada, per non parlare di Flos con cui iniziai a collaborare grazie ad Achille Castiglioni.

Sono e sono stati tutti rapporti lunghi e continuativi, perché è necessario conoscere bene l’azienda prima di intraprendere una collaborazione. Non è certo facile, si tratta di un lavoro di cesello coi vari personaggi, serve molta empatia oltre che professionalità ed è opportuno non solo mantenere buoni rapporti, ma cercare di essere lucidi sulla scelta del prodotto senza troppo coinvolgimento nei rapporti interpersonali. Mi è dispiaciuto vedere entrare certi personaggi nelle aziende per diventare showroom di sé stessi, senza riuscire a mantenere rapporti con i progettisti, facendo danni incredibili.

Quello dell’art director è un lavoro serio, che comporta la responsabilità di un’azienda, delle persone che ci lavorano, della comunicazione: se non è fatto bene torna come un boomerang. Al primo allestimento che sbaglierò per Kartell, mi tornerà indietro e si dimenticheranno dei 32 passati! A questo purtroppo devi essere preparato.

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Stand Kartell, Salone 2011 photo courtesy

Un aneddoto particolare sulla tua esperienza di art director?

Lo zio di Patrizia Moroso, un bravissimo prototipista friulano, uomo grande e burbero che incuteva timore, per prima cosa diceva di no. Ebbene, alla fine era lui a fare le cose senza che le chiedessi.

Quali sfide per il futuro?

Sono passato dall’analogico al digitale e oggi all’interattivo: mondi dalle velocità diverse… Se un tempo si inviavano i disegni per posta aerea, oggi si deve rispondere subito. La sfida del futuro è avere più tempo per pensare, per digerire un’idea prima di realizzarla.

Non si può certo far finta che tutti i nuovi linguaggi non esistano, né pensare che non siano fondamentali. Bisogna drizzare le antenne e vivere il proprio tempo, sarebbe anacronistico non farlo. Siamo tutti cambiati, le idee si modificano con i condizionamenti esterni ed emergono da sole, come succede ai ruminanti.

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Stand Foscarini, Euroluce 2019, photo courtesy

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Stand Kartell, Salone 1991, photo courtesy

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Moroso, 40-80 Armchair, 1999, Ferruccio Laviani e Achille Castiglioni, photo courtesy

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Stand Flos, Euroluce 2007, photo courtesy

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Ferruccio Laviani, ph. Giovanni Gastel

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15 marzo 2022