Olafur Eliasson: opere multimediali tra poesia e realtà

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Olafur Eliasson, Waterfall, 2016, Palace of Versailles, 2016, ph. Anders Sune Berg

Un artista poliedrico che gioca con gli elementi naturali (acqua e ghiaccio) nell’idea di connessione tra uomo, natura e sostenibilità

Artista, designer, performer, maître-à-penser, filosofo, ecologista, divulgatore, insegnante… definire Ólafur Elíasson, classe 1967, nato a Copenaghen ma vissuto in Islanda e Danimarca e ora residente a Berlino, non è facile. I suoi progetti artistici nascono da uno studio multidisciplinare che coinvolge fisica, tecnologia, sensibilità formale.

 

Alla base di tutto la convinzione di una stretta, inevitabile connessione tra uomo, natura e il mondo che ci circonda: “Mi sono reso conto che siamo fondamentalmente interconnessi”, ha dichiarato Elíasson su Rivista Studio. “Siamo uniti, attraverso una moltitudine di relazioni, ad altri esseri, cose, istituzioni, all’ecosistema. Vedendo le nostre vite intrecciate inestricabilmente in una rete che è il nostro mondo, stiamo imparando che siamo anche vulnerabili e che non abbiamo il completo controllo di tutto. Agiamo e interagiamo in definite situazioni con incertezza e costumi indefiniti. Esplorando collettivamente il mondo possiamo, spero, renderlo vivibile per tutte le specie”.

 

Elíasson si è fatto notare con l’installazione site-specific The weather project nel 2003 alla Tate Gallery di Londra, dove ha ricostruito un sole formato da 200 lampade dietro uno schermo semicircolare che si rifletteva in un sistema di specchi: un artificio naturale collocato in una stanza museale che costringeva a un dialogo serrato osservatore e oggetto osservato.

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Olafur Eliasson, Reversed waterfall, 1998, ph. Studio Olafur Eliasson

Ma la sua ricerca si sviluppa su vari anni, come nel caso di Waterfall, opera a vari step ispirata al fenomeno in cui l’acqua delle cascate, se sospinta da un forte vento, scorre dal basso verso l’alto. Dopo aver fotografato in 50 scatti le cascate islandesi e averle tradotte nel progetto The Waterfall series del 1996, due anni dopo propone Waterfall all’11° Biennale di Sidney: una caduta d’acqua alta sei metri proveniente da un circuito chiuso.

 

L’opera si conclude – ma sarà davvero finita? – nel 2016, quando Waterfall viene installata nel Grand Canal lungo l’asse visivo principale dei Giardini di Versailles: lunga e stretta, è sorretta da una torre di tralicci costruita con travi d’acciaio gialle mentre le pompe che trasportano l’acqua sono nere. L'infrastruttura visibile della cascata richiama l'attenzione sulla natura costruita sia dell'opera stessa sia dei giardini circostanti, mentre il tumulto dell'acqua evidenzia la presenza di forze naturali più grandi che giocano su questo ambiente artificiale: la forza e la direzione del vento e le condizioni della luce in un determinato momento.

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Olafur Eliasson, Beauty, 1993, Moderna Museet, Stockholm 2015, ph. Anders Sune Berg

In Beauty del 1993, un riflettore brilla obliquamente attraverso una cortina di nebbia sottile. Poiché l'esperienza degli effetti visivi generati dall'interazione di acqua e luce cambia in risposta alle posizioni dei visitatori all'interno della stanza, l'opera d'arte esiste solo nell'incontro di vista dello spettatore e oggetti ed è unica per ogni individuo.

 

Anche The Glacier melt series si sviluppa dal 1999 al 2019; nel 1999, Ólafur Elíasson fotografa diverse dozzine di ghiacciai in Islanda come parte di un suo progetto per documentare i fenomeni naturali del paese; questa serie di fotografie si traduce nell'opera chiamata The glacier series. Vent'anni dopo, l’artista decide di tornare in Islanda per fotografare nuovamente gli stessi ghiacciai. Nasce un nuovo lavoro, la serie The glacier melt 1999/2019, che accosta trenta paia di immagini del 1999 e del 2019 per rivelare l'impatto drammatico che il riscaldamento globale sta avendo sul nostro pianeta.

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Olafur Eliasson, Ice Watch, 2014, outside Tate Modern, London, 2018, ph. Justin Sutcliffe

Del 2014 è invece Ice Watch, realizzata con il geologo Minik Rosing: dodici grandi blocchi di ghiaccio staccati dalla calotta glaciale della Groenlandia vengono raccolti da un fiordo fuori Nuuk e posizionati in luoghi pubblici famosi: nella piazza del municipio di Copenaghen del 26 al 29 ottobre 2014, in occasione della pubblicazione del Quinto rapporto di valutazione dell'IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici; in Place du Panthéon a Parigi, dal 3 al 13 dicembre 2015, in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima Cop21; dall'11 dicembre 2018 al 2 gennaio 2019 a Londra fuori dalla sede europea di Bloomberg e di fronte alla Tate Modern. Anche questo lavoro mira alla consapevolezza del cambiamento climatico fornendo un'esperienza diretta e tangibile della realtà dello scioglimento dei ghiacci artici.

 

Ghiaccio, acqua e natura sono dunque per Ólafur Elíasson aspetti di un unico sistema in stretta connessione con l’uomo e con il suo intervento sull’ambiente: solo rispettando il nostro habitat abbiamo futuro e potremo essere felici, insieme con le altre specie viventi. “Ho usato i fenomeni naturali prendendoli dalla natura come se questa fosse una cassetta degli attrezzi” ha dichiarato. “Non penso però che necessariamente la natura possa essere interessante senza le persone che in essa vivono. Non sono un ecologista radicale, che pensa che la natura da sola sia importante per sé, penso sia lì per le persone. Ma certamente dobbiamo insegnare a noi stessi e ai nostri bambini a proteggerla. Nel mio lavoro, cerco un equilibrio. Faccio quello che faccio per le persone, e uso la natura come un medium, perché è in grado di parlare a un numero molto grande di individui”.

 

Artista decisamente impegnato, i suoi messaggi spaziano dall’ecologia alla filantropia, dalla politica all’attivismo, occupandosi anche di cultura alimentare e provenienza degli alimenti, coinvolgendo sponsor facoltosi come l’ex sindaco di New York, Michael Bloomberg, e collaborando con le Nazioni Unite.

 

Dal 22 settembre 2022 la Fondazione Palazzo Strozzi presenta una mostra personale a lui dedicata. Curata da Arturo Galansino, l’esposizione sarà la più ampia mai realizzata in Italia dall’artista e permetterà di immergersi nel suo mondo artistico attraverso un’ampia panoramica di opere della sua trentennale attività, ma anche tramite nuove opere pensate appositamente per Palazzo Strozzi.

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Olafur Eliasson, The Glacier Melt series 1999/2019, 2019, Tate Modern, London, 2019, ph. Michael Waldrep / Studio Olafur Eliasson

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Olafur Eliasson, Ice Watch, 2014, outside Tate Modern, London, 2018, ph. Justin Sutcliffe

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Olafur Eliasson, Waterfall, 2016, Palace of Versailles, 2016, ph. Anders Sune Berg

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