Storie Valeria Segovia: "Trasformare l’esistente, per una nuova interpretazione di intelligenza e bellezza” Testo di Oliva Sartogo Aggiungi ai preferiti Valeria Segovia, Principal, Design Director Gensler London Una conversazione con Valeria Segovia, Principal, Design Director di Gensler a Londra, il più grande studio di architettura al mondo per fatturato e numero di architetti con clienti in oltre 100 Paesi Valeria Segovia, Principal e Studio Director di Gensler, tra i protagonisti del programma culturale Drafting Futures. Conversations about Next Perspectives, diretto da Annalisa Rosso, Editorial Director & Cultural Events Advisor del Salone del Mobile.Milano, concepisce l’architettura come dialogo tra memoria, materialità ed esperienza umana. In conversazione con Oliva Sartogo, esplora i diversi livelli narrativi che emergono nella trasformazione di un edificio. Segovia rivela come la vasta pratica globale di Gensler favorisca una sorta di ibridazione architettonica, capace di promuovere l’intelligenza collettiva e le sfumature locali. Qual è la tua, personale, definizione di bellezza? La mia idea di bellezza è profondamente cambiata nel tempo. Anni fa si trattava di pura forma architettonica. Ora ha più a che fare con ciò che lo spazio offre alle persone, quindi con l’esperienza umana. Oggi la parte dell’architetto è meno autoriale e più collaborativa: bisogna lavorare con le comunità e i costruttori per plasmare insieme qualcosa di significativo. La bellezza adesso riguarda le storie e il tempo. Il riuso è bello: una pietra spostata dal pavimento al muro, un muro che porta ancora graffiti o tracce di vecchie scale. La presenza di diversi strati e di ricordi dà profondità al progetto. Anche vedere materiali riciclati è bello. Il modo in cui definiamo il buon design deve continuare a evolversi, e dobbiamo dare ancora più valore al riutilizzo di materiali ed edifici.Sogno di creare un edificio completamente nuovo, ma realizzato interamente con materiali che hanno già vissuto in costruzioni precedenti. Oggi ci sono così tanti rifiuti che dobbiamo diventare rigorosi nel tracciarli e riutilizzarli. Quanto è forte il legame tra i tuoi progetti e la ricerca condotta dal Gensler Research Institute? Gli studi globali del Gensler Research Institute e le iniziative grassroots che finanziamo ogni anno in diverse regioni del mondo ci permettono di perseguire un grande obiettivo: dare ai nostri team gli strumenti di cui hanno bisogno per esplorare a fondo le sfide più importanti che incontrano a livello locale. In qualità di co-presidente dei nostri Research & Innovation Awards, cerco di mettere in luce progetti che integrano molta innovazione, sostenendo l’ecosistema del design research driven. Tutto questo ha un’influenza diretta sulla mia pratica. Gli studi che abbiamo condotto sui luoghi di lavoro in diverse città, per esempio, esaminano gli elementi che sono realmente attrattivi per i talenti, dall’esperienza dei dipendenti al contesto e ai servizi, in modo che il proprietario di un edificio possa sviluppare spazi con una value proposition efficace. Nel lavoro su The Acre, a Londra, abbiamo valorizzato le caratteristiche dell’edificio anziché ammorbidirle. Rimuovendo selettivamente alcune parti e inserendo nuovi interventi, abbiamo instaurato un dialogo tra vecchio e nuovo: così, una colonna in cemento grezzo e invecchiato si erge accanto a un’altra perfettamente contemporanea ed elegante. Questa tensione dà carattere e invita le persone a leggere il passare del tempo proprio nello spazio. Abbiamo anche spinto sulle proporzioni, andando oltre quelle tradizionali. All’inizio è emersa qualche perplessità sulla profondità e sulla luce naturale, ma conducendo test e analisi spaziali abbiamo scoperto che le superfici più profonde consentono in realtà una maggiore fruibilità. Sono adatte per creare aree dove ci si può concentrare sul lavoro, sale per le attività collaborative e zone dedicate alle telefonate: tutti spunti chiave tratti dalla nostra ricerca globale sui luoghi di lavoro. A differenza dei layout rigidi e uniformi ai quali forse siamo abituati, queste profondità irregolari rendono la planimetria più ricca e attraggono una tipologia più ampia di inquilini. Infine abbiamo intrecciato lo spazio con terrazze e verde, assicurando un collegamento diretto con la natura a ogni piano. Abbiamo trovato un equilibrio tra accesso biofilico e flessibilità, grazie a spazi esterni studiati per le attività più varie, dalle riunioni informali alla pausa solitaria. La flessibilità stessa, ovviamente, è uno dei temi più forti emersi dalla nostra ricerca. In che modo gli ambienti che progetti rimangono in sintonia con i protagonisti che poi li abitano, e con i ritmi della loro vita quotidiana? Oggi attrarre le persone significa allineare i valori dell’edificio ai loro. Per The Acre ci siamo concentrati su gioia, calma e salute, perché è situato nel vivace quartiere di Covent Garden e tutti noi ormai abbiamo a cuore il benessere e la sostenibilità. È anche importante spingere la sostenibilità oltre il livello delle certificazioni, proiettandola direttamente nell’esperienza che le persone fanno dello spazio. Le nuove generazioni desiderano ambienti sani e consapevoli: se un edificio non è all’altezza di questi valori, è più difficile trovare chi ci voglia vivere. Come articoleresti o tradurresti i concetti di gioia e calma nel contesto dell’esperienza architettonica? Prendiamo The Acre come esempio: la facciata ha un carattere quasi incontenibile, una struttura rigorosamente a griglia, altamente strutturata, con una geometria ortogonale pervasiva e un’articolazione lineare e disciplinata. Invece per gli interni il nostro intento progettuale ha seguito una traiettoria nettamente diversa. Un ambiente spaziale definito da geometrie organiche, manifestate attraverso motivi a pavimento e forme sul soffitto che evocano una certa sensibilità naturalistica. La palette di materiali è prevalentemente calda e tattile, con ampio uso di legno e altre finiture naturali.Sempre all’interno, abbiamo modulato le dimensioni: l’altezza del soffitto rimane generosa, per preservare un senso di leggerezza e apertura spaziale, mentre gli elementi più materici sono situati più in basso nel volume. Questo mette tutto a misura d’uomo, controbilanciando la vastità e la formalità dell’esterno ed evitando che appaia austero o opprimente. Abbiamo introdotto moduli finestra più piccoli e frammentati. Questi elementi forniscono un ritmo e una scala che risultano accessibili e sfumati, piuttosto che imponenti, evitando associazioni con un linguaggio architettonico obsoleto. Questo dialogo tra la griglia ben disciplinata dell’esterno e il calore e la fluidità organica degli interni è centrale nella nostra interpretazione dei concetti di gioia e calma. Arriviamo a chiamare il nucleo interno dell’edificio “cuore”: uno spazio pubblico aperto, situato proprio al centro, dove in precedenza c’era un atrio. Abbiamo inserito una pensilina vetrata per permettere alla luce naturale di filtrare, creando un ambiente invitante e luminoso. Questo cuore funge da piazza comune dell’edificio: è un’area flessibile e multilivello progettata per essere curata e animata da diversi programmi ed eventi. Invita la partecipazione di chi vive nell’edificio e della comunità più ampia, inclusi visitatori e stakeholder locali. Questa adattabilità è piuttosto rara, soprattutto considerando che il proprietario avrebbe potuto vedere il mancato controllo su questo spazio come un problema, in termini di manutenzione e sicurezza. Invece, il cliente ha accolto una visione innovativa, restituendo con generosità un servizio alla comunità, rafforzando la funzione di The Acre non solo come luogo di lavoro ma anche come centro culturale e sociale. The Acre, Valeria Segovia - Ph. Gensler Come si affronta la sfida di attrarre le persone in questa sequenza di spazi privati, semi-pubblici e pubblici? In particolare, come si attiva la “piazza”, al di là dei caffè e dei negozi, per invitare a un reale coinvolgimento? L’edificio è ancora nuovo, quindi la vera misura del suo successo emergerà solo col tempo. Ma diverse strategie sono state fondamentali per promuovere la sua permeabilità e attrattività. In primo luogo, sui due fronti principali – Long Acre ed Endell Street – abbiamo introdotto diverse attività commerciali: ristoranti, caffè, negozi. Un aspetto chiave è che questi non si limitano alle facciate esterne: si estendono all’interno, creando una soglia che invita al passaggio. Questo stabilisce uno scopo, dà alle persone il permesso di entrare, anche se non hanno un’attività specifica all’interno dell’edificio. Questo senso di accoglienza è fondamentale. La qualità spaziale e sensoriale dell’architettura stessa è altrettanto importante. Le persone sono invariabilmente attratte dalla bellezza. Sebbene la definizione di quest’ultima possa evolvere, alcuni principi persistono: luce, scala, proporzione, tattilità dei materiali. Al centro dell’edificio, nel “cuore”, queste qualità convergono: abbondante luce naturale, superfici texturizzate che invitano al tatto, dettagli sfumati e un gioco di scale ben calibrato. Attributi che non solo rendono lo spazio intrinsecamente attraente ma stimolano anche la curiosità, la voglia di esplorare, di soffermarsi, forse persino di catturare un “momento Instagram”. Tuttavia, le qualità spaziali da sole non sono sufficienti. La programmazione, la cura di eventi e attività, è essenziale per sostenere la vitalità del luogo. Riprendendo l’analogia della piazza: proprio come i mercati animano le piazze italiane il sabato mattina, così anche questo spazio potrebbe ospitare un TED Talk o accogliere i produttori locali di Covent Garden per i mercati stagionali. Questi usi temporanei e adattabili saranno fondamentali per il successo della “piazza” di The Acre nel lungo termine. Secondo la tua esperienza, cosa spinge le persone a sentirsi legate a un’architettura, al punto da viverla appieno e mantenerla viva anche per più generazioni? La nostra comprensione delle responsabilità culturali dell’architettura è stata ricalibrata dal profondo coinvolgimento nella trasformazione di strutture esistenti. Abbiamo acquisito consapevolezza del fatto che il nostro ruolo come architetti non si limita mai solo all’aspetto di un edificio ma riguarda, in egual misura, anche delle sue prestazioni, il suo rapporto con le persone e il suo utilizzo finale. Tutto ciò che facciamo – anche dettagli come battiscopa, angoli, giunti di dilatazione, la scelta delle piastrelle e della pietra – è fondamentale in questo. Nel nostro studio lavoriamo su diverse scale ed è questo, a mio avviso, a distinguerci dagli studi che si concentrano solo su nuove costruzioni. Quando si trasforma un edificio che già esiste, occorre sempre pensare a ciò che gli permette di rimanere rilevante, non solo in termini di prestazioni energetiche, riscaldamento e raffrescamento, ma anche di memorie custodite ed esperienze vissute. Queste sono le dimensioni che generano gioia, calma e la sintonia emotiva di cui abbiamo parlato. 25 luglio 2025 Share
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