L’ufficio circolare a misura, e felicità, d’uomo

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Bath Schools of Art and Design Grimshaw photo by Paul Raftery

Lo storytelling dello studio Grimshaw si tinge di verde: i modelli di lavoro distribuiti diventeranno la normalità e l'ufficio, che promuoverà collaborazione e lavoro focalizzato, sarà sempre più circolare.

Per loro non è solo una scelta, una sfida o una missione, ma l’unico modo di concepire il progetto e la sua realizzazione: il rigore verso la sostenibilità. Anche quando si tratta di spazi di lavoro. Da sempre, in Grimshaw, tutto si basa su principi di progettazione duratura, circolare, a misura d'uomo. L’ufficio che si (ri)pensa oggi deve saper sfruttare con attenzione le risorse del pianeta, armonizzandosi con il contesto, e, soprattutto, sapersi riadattare in futuro. È un ambiente capace di integrarsi con la natura, che sfrutta il potenziale della tecnologia, ma la cui componente principale rimane lo human factor. Luoghi, quindi, che permettono di sentirsi bene – finanche felici –, di coltivare relazioni, di amplificare creatività. Spazi flessibili che consentono all’individuo di raggiungere un reale equilibrio tra lavoro e vita privata, balance che, a sua volta, porterà a una produzione più efficiente e vantaggiosa per l’azienda. Di tutto questo ci parla Paolo Vimercati, Principal dello studio, in un’intervista fiume in cui, con passione e professionalità, ci spiega come si evolveranno i luoghi della nuova vita professionale, nomade fra casa e ufficio.

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Paolo Vimercati, Grimshaw

Seppur non sappiamo ancora bene quando finirà l’impatto della pandemia sulle nostre vite, una cosa è certa: lo spazio dove lavoreremo non sarà più lo stesso. Come cambierà? Gli headquarter fisici e centralizzati saranno ancora fondamentali e predominanti nella cosiddetta nuova normalità?

È una domanda che, in Grimshaw, ci siamo posti subito a inizio pandemia e la risposta che ci siamo dati è che, alla fine, ricercheremo un luogo simile a quello che c’era prima. Il grado di somiglianza, tuttavia, rappresenta lo spazio di opportunità che abbiamo come progettisti per innovare il modo in cui oggi viviamo: questo è, forse, uno dei pochi benefici che si possono trarre da questa situazione. Da un anno ci chiediamo Perché vado in ufficio? Prima non era ipotizzabile. Così come non avremmo mai creduto di essere tanto produttivi da casa – realtà che dimostra la nostra capacità di adattamento e resilienza. E che conferma come, se vogliamo, possiamo davvero cambiare il nostro modo di vivere anche la città del futuro. Questo, per me, è l’obiettivo. Cogliere l’opportunità di avanzare proposte radicali – strade senza auto, maggiore verde in città, forme alternative di spazi di lavoro – ora che – visionari, progettisti, imprenditori e cittadini sono tutti pressoché d’accordo. Se, fino a ieri, erano obiettivi più politici, oggi sono realizzabili. Le discussioni intorno al workplace sono fondamentali. Non penso a un luogo ibrido perché per determinate attività – quelle che richiedono più concentrazione o indipendenza fisica e temporale – siamo più efficienti a casa, mentre per altre – riunioni, brain storming, attività al pc che non si possono svolgere da remoto – è indispensabile un ufficio tradizionale. Per questo, penso che in futuro si organizzeranno gruppi di lavoro a cui si darà la possibilità di accedere in ufficio per un tot di tempo, ma sarà lo stesso gruppo a decidere quando. Insomma, una forma distribuita e aumentata di flessibilità. Dunque, non cambierà tanto il tipo di spazio quanto l’uso che ne faremo. Il passo successivo sarà riconvertire ciò che non utilizzeremo più come workspace.

Di fatto, le emergenze climatica e pandemica richiedono che il modo di costruire cambi radicalmente. Poiché l'obiettivo di Grimshaw è smettere di progettare edifici non sostenibili, in che modo viene messo in pratica?

La scelta di impegnarsi in costruzioni il più possibile sostenibili è una decisione unilaterale – dello studio, cioè, non dei clienti. Dal momento che abbiamo sempre avuto una squadra dedicata alla sostenibilità, ciò di cui sentivamo la necessità era un livello di quantificazione rispetto a quanto già facevamo e avremmo potuto fare. Per questo, si è unito al nostro gruppo Paul Toyne, un esperto che supporta le organizzazioni nella realizzazione della strategia aziendale attraverso il raggiungimento di obiettivi ambientali e di sostenibilità. Da due anni con noi, Paul ha messo nero su bianco, con grande precisione, quali sono i nostri obiettivi in termini ambientali e di decarbonizzazione, come raggiungerli, con quali strumenti e metodologie, dimostrando che abbiamo una base solida, comprensibile e condivisibile, da cui partire tutti insieme, per mettere in pratica quei progetti che noi chiamiamo net zero ready. La strada è lunga e non possiamo fare tutto da soli – è indispensabile coinvolgere clienti, fornitori, finanziatori, stakeholder e tutti gli attori del progetto. Siamo stati il primo studio di architettura in Gran Bretagna a conseguire la certificazione ISO 2000 e 14001, di efficienza ambientale, che, se, nello specifico, non ha a che vedere con quanto progettiamo, ha molto a che fare con come operiamo – abbiamo decarbonizzato la nostra supply chain e tracciamo la produzione di CO2 di qualsiasi cosa, compreso il tragitto che ognuno di noi fa per venire al lavoro.

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50-60 Station Road, Grimshaw photo by Diane Auckland

Dati i vostri obiettivi ambientali, quali sono le barriere e le opportunità che incontrate tutti i giorni nel vostro lavoro?

Di barriere ce ne sono tante. Proprio per questo abbiamo creato una squadra che faccia ricerca per capire come fare a importare i concetti di economia circolare nell’ambito dell’industriale delle costruzioni – dalla governance, alla progettazione e implementazione. Abbiamo abbastanza chiaro come costruire in maniera sostenibile – poi succeda o non succeda, è spesso una decisione economica su cui noi come architetti dovremmo fare molto più advocate –, meno su come si demolisce. E qui, a Londra, sarebbe molto importante capirlo dal momento che gli edifici sopravvivono per 30/50 anni e poi vengono smantellati. Grazie alle nostre ricerche abbiamo scoperto che a Helsinki, per esempio, ci sono agenzie che si occupano di demolizioni industriali e riciclano il 90%. Hanno dovuto perciò inventarsi tutta la regolamentazione (e le certificazioni finali) per come riciclare e riutilizzare il materiale proveniente da queste demolizioni che, di fatto, non ha più le stesse caratteristiche originarie. Noi ci stiamo impegnando per creare un sistema di governance che renda chiaro il potenziale positivo e negativo di quanto esiste e del relativo smaltimento, per costruire in maniera che poi la demolizione sia sostenibile o che sia più semplice quell’adpative re-use che, in diverse parti del mondo, non è scontato.

Key Sargent, co-direttore della practice WorkPlace di HOK, ci raccontava che l’edificio più sostenibile che vorrebbero progettare è proprio quello che già esiste.

Ha ragione. In Grimshaw, l’approccio è sempre stato questo. Di più. In tutte le nostre design review, una volta approvato il livello della modularità, ci domandiamo: Quanti materiali utilizziamo? Possiamo utilizzarne la metà? Come possiamo costruire pensando già a un’altra attività in quel medesimo spazio?

E il ruolo della tecnologia nell’ufficio del futuro?

La tecnologia che ti immagini futura è già qui! Arrivi in ufficio con un badge, le porte si aprono, ti viene indicato l’ascensore da utilizzare e la strada più breve per la tua scrivania, il tuo pc si accende con le tue impostazioni. Ma questa digitalizzazione, che permette quella fluidità di cui tutti parlano, ha anche un risvolto della medaglia. Ci porta a porci delle domande sulla sicurezza e sulla privacy: se tutto quello che fai viene codificato, vuol dire che tutti possono sapere cosa stai facendo in un dato momento. Inoltre, non bisogna dimenticare che tecnologia e digitalizzazione hanno un impatto non trascurabile sull’ambiente con questi enormi data-center e le loro emissioni. Personalmente, rimango convinto che lo human factor sia di gran lunga più importante nell’ufficio che vorremmo domani.

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Bath Schools of Art and Design Grimshaw photo by Paul Raftery

Quando gli architetti parlano di luoghi di lavoro, spesso sorgono domande sul ruolo delle emozioni, della bellezza e delle relazioni umane. Ma se oggi ci si deve concentrare su sicurezza e salute, quando e come si può pensare all'estetica?

La bellezza è il nostro perimetro di azione, è il contatto tra digitale e analogico, tra dea e realtà: è il nostro obiettivo come progettisti e costruttori. E, oggi, è legata a una dimensione naturale che contribuisce alla nostra felicità e soddisfazione. La sfida odierna è creare un ambiente di lavoro positivo e piacevole nonostante tutte le guideline anti-Covid. Ma ogni epoca ha una sua questione da risolvere, progettualmente parlando. Oggi è un affair di sicurezza sanitaria, ieri era un’altra problematica e domani ce ne sarà un’altra ancora! Se riuscissimo sempre a fare scelte estetiche in grado di sfumare i vincoli con cui ogni giorno ci scontriamo, sicuramente saremo in grado di progettare spazi in cui sentirsi bene sempre e, quindi, “belli” a prescindere.

1 settembre 2021
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