Il mondo domestico di Aldo Rossi

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Aldo Rossi and Luca Meda, Piroscafo bookshelf, 1992 © Eredi Aldo Rossi, courtesy Molteni&C

Milano celebra uno dei designer e architetti italiani più importanti del secondo dopoguerra, il milanesissimo Aldo Rossi, che ha reinventato il paesaggio domestico immaginandolo come una rappresentazione teatrale

L’11 novembre del 1979 a Venezia s’inaugurava una delle opere più straordinariamente simboliche per comprendere la carriera e l’opera di Aldo Rossi: il Teatro del Mondo pensato come un’architettura effimera che per pochi mesi cambiò il panorama della laguna prima di venir smantellato. È in questo progetto, che sposa i temi del teatro, dell’utopia, del transeunte che si ritrova in purezza tutta la visione di Aldo Rossi. È a lui che che il Museo del Novecento di Milano dedica la mostra aperta lo scorso 29 aprile (fino al 2 ottobre), intitolata Aldo Rossi. Design 1960 – 1997, concepita come una grande retrospettiva che documenta l’impegno di Rossi nel corso della sua attività di architetto nella personale riflessione sugli oggetti anche in relazione con le sue celebri architetture.

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Aldo Rossi, Tea & Coffee Piazza, 1983, Alessi © Eredi Aldo Rossi, courtesy Fondazione Aldo Rossi

La mostra è curata da Chiara Spangaro che ha strutturato un percorso scandito da oltre 350 elementi, tra arredi e oggetti d’uso, prototipi e modelli, dipinti, disegni e studi progettati e realizzati da Aldo Rossi dal 1960 al 1997, ed evidenziando la sua costante produzione come progettista e teorico dell’architettura. A tal proposito Chiara Spangaro racconta così lo spirito della mostra:

"L’approccio che abbiamo seguito per strutturate l’allestimento insieme a Morris Adjmi (MA Architects, collaboratore e poi associato di Rossi a New York, ndr) segue la maniera analoga di Rossi di lavorare; lui ha sempre mescolato le carte, nei suoi disegni, nelle sue architetture, tenendo dei punti fermi ovviamente. La mostra non è un’antologica, propone invece dei momenti e dei temi diversi che abbiamo articolato insieme; alcuni sono dei temi di senso logico, conoscendo Rossi, come le figure apollinee, la domesticità, altre invece sono delle citazioni più poetiche come quella relativa al Cimitero di San Cataldo a Modena o la ricostruzione di uno spazio domestico privato presente in una delle sale a partire dalle fotografie di Ghirri ma anche dalle foto personali che i figli ci hanno messo a disposizione. La prima sala è un po’ l’enunciato della mostra, ossia l’idea di collegare gli oggetti al disegno, all’architettura, essendo essi strettamente collegati sia sotto il profilo grafico che per quanto riguarda la riflessione tra la grande e piccola scala".

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Aldo Rossi, La cubica pot, 1991, Alessi © Eredi Aldo Rossi, courtesy Fondazione Aldo Rossi

Attraverso le importanti e durature collaborazione di Rossi con i grandi nomi delle aziende di arredamento italiane si può rivedere tutto il meglio di quell’intensa stagione creativa che ha visto nomi come il suo confrontarsi con il meglio delle realtà produttive del nostro paese: fin dagli anni Sessanta insieme all’architetto Leonardo Ferrari, Rossi si confronta con l’arredamento. È tuttavia dal 1979 in poi (lo stesso anno del Teatro del Mondo) che comincia con regolarità la fertile e febbrile produzione industriale e di alto artigianato, con brand quali Alessi, Artemide, DesignTex, Bruno Longoni Atelier d’arredamento, Molteni&C|UniFor, Richard-Ginori, Rosenthal, Up&Up (oggi UpGroup). In circa un ventennio, Aldo Rossi firma più di settanta pezzi tra arredamenti e oggetti, la maggior parte dei quali tutt’oggi in produzione ed esposti nei principali musei di design del mondo, restituendo ogni volta quel suo segno che è una sintesi di razionalismo, metafisica e postmoderno. Chiara Spangaro, che è anche curatrice della Fondazione Aldo Rossi, da tempo ricostruisce le tracce del lavoro di Rossi che finalmente i visitatori potranno scoprire anche nei suoi episodi meno noti:

"Ho cominciato questa ricerca circa dieci anni fa, in un periodo nel quale la fondazione era già a regime ma forse c’era un flusso di lavoro meno intenso; sono andata quindi a presentarmi a tutti i produttori e a ricercare i materiali, e quello che è venuto fuori rispetto alle conoscenze più o meno condivise rispetto al lavoro di Rossi è che lui lavorò a moltissimi progetti in più, alcuni totalmente inediti, mai esposti, alcuni mai prodotti. Molti ad esempio sono stati ‘congelati’ e mai mandati in produzione per questioni commerciali e per varie altre ragioni; questo ci ha permesso di lavorare ad un universo che in realtà è molto più ricco rispetto a quello che comunemente si tramanda di Rossi".

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Aldo Rossi, Papyro desk, 1990 Molteni&C. © Eredi Aldo Rossi, courtesy Fondazione Aldo Rossi

Caffettiere che sono in realtà torri con le loro cupole, librerie che potrebbero essere prospetti di edifici razionalisti e metafisici, tappeti come piante di città e palazzi mai realizzati. E poi il colore; che caratterizza i suoi bellissimi disegni e dipinti e che diventa elemento strutturale quando ricopre la tridimensionalità dei volumi delle sue architetture così come quelli dei suoi oggetti. Si potrebbe pensare che la funzionalità del design non fosse al centro delle priorità del Rossi designer, anche se come dicevamo, moltissimi dei suoi oggetti continuano ad essere prodotti e utilizzati mentre altri sono diventati nel tempo pure opere d’arte, desiderate dai collezionisti.

"Ci sono tanti oggetti usciti dalla produzione" spiega Chiara Spangaro "ogni oggetto ha la sua storia, ci sono progetti nati ad esempio dalla collaborazione con Luca Meda, quando Meda era art-director di Molteni&C, ci sono riprese di stilemi che fanno parte del vocabolario rossiano come la finestra quadrata con la cornice a croce, o l’ortogonalità di alcune sedie, poi ce ne sono altri che fuoriescono da questa codificazione e che provengono da mondi che sono diversi, per esempio quello della memoria e dell’esperienza diretta di Rossi come il tavolo in marmo per Up&Up che è stato rimodellato a partire da un tavolo in legno del suo ufficio, un mobile ottocentesco molto classico sul quale Rossi lavorava che ha voluto semplicemente riprodurre in marmo. C’è un altro esempio di appropriazione e reinvenzione simile, costituito dalla credenza-vetrina per Bruno Longoni, che in mostra si può ravvedere nelle forme dell’armadio esposto nella ricostruzione del suo spazio domestico che Rossi aveva a casa e che presenta dettagli assai simili".

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Aldo Rossi with the Parigi armchair for UniFor, 1989 © Federico Brunetti

Arte e vita, progetto come idea e rappresentazione si alternano vivacemente nella mostra "il nostro intento è stato proprio quello di mescolare architettura, design, oggetti personali, dipinti, per ricreare un mondo ‘totale’ di Aldo Rossi e non solo gli oggetti d’uso tout-court", racconta la curatrice, che ha inteso la mostra anche come uno spazio di studio e di approfondimento per calarsi nel processo progettuale di Rossi che ha portato al concepimento dei suoi pezzi più iconici.

"Ci sono genesi profondamente rossiane ma profondamente diverse all’origine di alcuni suoi oggetti. Penso ad esempio alla ‘Cabina dell’Elba’, nata da suggestioni archetipiche, per così dire ‘infantili’, collegate ai suoi studi della case in legno, del teatro del mondo, dei fari, e rientra in un filone di ricerca di un immaginario magico/ludico che Rossi presenta spessissimo nei suoi disegni come nelle sue architetture. Mentre la sedia ‘Parigi’ e la libreria ‘Cartesio’ per Uniform ad esempio, possono essere lette come un tentativo di Rossi di sperimentare fuori dalle produzioni di alto artigianato legato a materiali nobili quali legno, ceramica o marmo per entrare invece in una prospettiva più industriale con materie come il metallo o la schiuma impiegata per la seduta della Parigi".

Questo grande lavoro di raccolta di esemplari e documenti è stato possibile grazie alla collaborazione con vari musei e archivi aziendali (Museo Alessi; Molteni Museum; archivi di Bruno Longoni Atelier d’arredamento e di Up Group); collezioni museali italiane e internazionali (Bonnefanten Museum, Maastricht; Centre Georges Pompidou, Parigi; Fondazione Museo Archivio Richard-Ginori della Manifattura di Doccia, Firenze; MAXXI - Museo delle arti del XXI secolo, Roma; Università Iuav di Venezia; Triennale di Milano) e svariati prestiti di privati. In occasione della mostra è stato inoltre pubblicato il catalogo ragionato Aldo Rossi. Design 1960-1997, edito da Silvana Editoriale, a cura della stessa Chiara Spangaro e accompagnato da un saggio critico di Domitilla Dardi. L’esposizione sarà arricchita da un programma di eventi collaterali, un’occasione imperdibile per visitare il ‘continente’ Aldo Rossi.

 

ALDO ROSSI. DESIGN 1960-1997

a cura di Chiara Spangaro

29 aprile - 6 novembre 2022

Museo del Novecento, Milano

www.museodelnovecento.org

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