Aldo Rossi, o dell'architettura laconica

Aldo Rossi

Aldo Rossi fotografato con la caffettiera La conica, disegnata per Alessi - Collezione MAXXI Architettura. Archivio Aldo Rossi

La grande monografica dedicata al primo Pritzker Prize italiano nelle parole illuminanti dell'architetto Franco Raggi. Una visita guidata d'eccezione, alla scoperta della mostra presentata al museo MAXXI.

La mostra di Aldo Rossi al MAXXI di Roma racconta in modo ricco e allusivo del rapporto inestricabile tra la forma del disegno e quella dell’oggetto architettonico e ci introduce nel complesso mondo visionario e concreto dell’architetto milanese. Provo a elencarne alcuni aspetti.

Aldo Rossi doppio

Il lavoro di AR da sempre oscilla tra i due mondi del disegno e dell’oggetto costruito, creando un’iconografia e un’iconologia che attengono insieme e con scale diverse al mondo dell’oggetto, a quello dell’edificio e della città come stratificazione di luoghi costruiti.
Nell’universo immaginifico di AR queste due scale si sovrappongono e si integrano e, attraverso il disegno, si fondono in un paesaggio dell’immaginario e della visione, generatori profondi del senso dell’architettura. Architettura come macro-oggetto e come spazio abitato da una parte, oggetti come microarchitetture e condensatori di memorie dall’altra.

Aldo Rossi con M. Scheurer - Progetto

Aldo Rossi con M. Scheurer - Progetto per un nuovo stabile amministrativo per la UBS, Lugano, Svizzera (1990)

Modello, s.d. carta, cartoncino, legno - Collezione MAXXI Architettura. Archivio Aldo Rossi © Eredi Aldo Rossi  

Aldo Rossi e le Cose

Nell’esposizione dei lavori affiancati in mostra a sottolineare questa affascinante ambiguità i modelli di architettura, i disegni e gli oggetti realizzano un paesaggio laconico e multisignificante, senza tempo e, quasi, senza contesto, se non il contesto mentale di AR nel quale la grande mano del San Carlone, la gigantesca caffettiera, il faro marittimo, la cabina balneare costruiscono una mappa subconscia di emergenze simboliche e rituali e un catalogo personale di icone non giustificabili nel banale linguaggio della razionalità e del funzionalismo architettonico.

Aldo Rossi - Casa a Mount Pocono

Aldo Rossi - Casa a Mount Pocono, Pennsylvania (USA), 1995 - Fondazione Aldo Rossi

Aldo Rossi e la contemporaneità

L’architettura di AR ci affascina per questo suo radicale rifiuto della contemporaneità intesa come estenuante appello all’aggiornamento tecnologico dei linguaggi; aggiornamento che relega il progetto di architettura a un banale destino di rinnovamento temporaneo senza fine e senza contesto. Se la funzione dell’architettura è anche quella di produrre trasalimento, straniamento, sorpresa e conflitto poetico, quella di AR è architettura molto funzionale e non soggetta a decadimento. In queste procedure logiche e ripetitive, fatte di riferimenti costanti a volte ossessivi, ma anche di riflessioni profonde sul senso della città come stratificato manufatto umano per eccellenza, l’universo poetico, figurativo e tecnico di AR trova la sua ragione d’essere profonda e convincente.

Aldo Rossi, con M.Adjmi, T. Horiguchi, S. Uchida “Il Palazzo”

Aldo Rossi, con M.Adjmi, T. Horiguchi, S. Uchida - Complesso alberghiero e ristorante “Il Palazzo”, Fukuoka (Giappone), 1987-1990 - Fotografia Nacasa and Partners - Fondazione Aldo Rossi

Aldo Rossi e il contesto

L’idea di contesto nel quale calare logicamente la propria visione è uno dei temi centrali e conflittuali dell’architettura della città europea. Il contesto, tuttavia, per AR non prevede un approccio mimetico ma, semmai, additivo, nel senso che il contesto urbano può essere visto e immaginato come una somma di piccoli contesti con caratteri morfologici autonomi, ma capaci di suggerire analogie accostamenti e differenze. Il concetto di analogia e di alterità percorre l’opera di AR suggerendo accostamenti acidi, a volte impropri, come nei blocchi abitativi berlinesi giocati su una memoria massiccia e sincopata di reperti e citazioni, tenuti insieme da un’inedita ricchezza cromatica. Case apparentemente non-moderne che istituiscono con il contesto esistente un dialogo acceso in opposizione con la prevedibilità e l’omogeneità del contesto tradizionale.

Teatro del Mondo

Reportage fotografico della costruzione e del viaggio del Teatro del Mondo da Venezia a Dubrovnik, 1979-1980 - Fotografie di Antonio Martinelli - © Copyright Antonio Martinelli

Aldo Rossi e la memoria

I materiali della memoria sono materiali pesanti ed evanescenti al tempo stesso. Si stratificano, si aggregano, si consolidano nel linguaggio individuale e collettivo con leggi proprie e insondabili. Il principio di apparizione sembra prediligere le procedure compositive di AR. Apparizioni di frammenti monumentali come le iconiche guglie e cupole, di archetipi funzionali come i fari marittimi o i gasometri, apparizioni domestiche e affettive come le cabine dell’Elba e gli orologi scolastici che scandiscono il tempo immobile dei paesaggi rossiani. Le memorie affiorano nell’architettura di AR come dispositivi a reazione poetica quasi indipendenti dall’obbligo funzionale, ma necessari alla costruzione di un luogo.

Aldo Rossi, con M. Adjmi - uffici per la Disney Development Company

Aldo Rossi, con M. Adjmi - Complesso di uffici per la Disney Development Company, Orlando (FL, USA) - 1991-1993 - Fondazione Aldo Rossi

Aldo Rossi e il linguaggio

Come Fellini girava sempre lo stesso film, così AR nel suo linguaggio insegue e ricompone meticolosamente gli stessi feticci. Mettendo in atto, in modo esemplare, un’azione sistematica coerente e pervasiva di costruzione di un linguaggio. Linguaggio che, tuttavia, non è uno stile, ma un modo di procedere secondo principi quali la ripetizione, la stratificazione, lo straniamento dimensionale, l’anacronismo, l’accostamento intrusivo, la simmetria e la geometria di forme pure (cono, cilindro, cubo) come generatori di spazio e di senso.
Lo spazio dell’architettura di AR è lo spazio laconico del ricordo e della memoria, ma anche dell’astrazione e del silenzio. La memoria della metafisica dechirichiana attraversa e definisce lo spazio della sua architettura come spazio dell’assenza e dell’attesa. Nel numero 3 della rivista Terrazzo del 1989, quasi monografico su AR, la dimensione onirica del disegno si confronta in scenari speculari con le foto in bianco e nero di Santi Caleca delle opere costruite. Non sorprende che in quelle foto non ci sia nessuno.