Notti Magiche. Passato e presente degli stadi in Europa

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Al Janoub Stadium, Al Wakrah, Qatar, di Zaha Hadid Architects

Al Janoub Stadium, Al Wakrah, Qatar, di Zaha Hadid Architects, ph. Hufton+Crow

Gli stadi europei, simboli architettonici di identità collettiva e memoria urbana, si misurano oggi con sfide di sostenibilità, accessibilità e riuso

«Notti magiche / inseguendo un goal / sotto il cielo di un’estate italiana», cantava Gianna Nannini nel 1989. Il calcio è da sempre parte integrante della cultura di ogni Paese, e gli spazi che lo ospitano — gli stadi — ne sono il riflesso più visibile. Simboli di collettività e di appartenenza, vere e proprie megastrutture emozionali, gli stadi sono stati a lungo considerati molto più che semplici infrastrutture sportive. Carichi di un’aura quasi sacrale, sono spesso paragonati, nel linguaggio comune, a cattedrali moderne, luoghi in cui la comunità si riunisce per celebrare riti laici.

Non sorprende, dunque, che lo stadio sia da sempre al centro dell’attenzione degli architetti — oggetto di corsi universitari (come al Politecnico di Milano) e di mostre dedicate, come quella che il MAXXI di Roma sta ospitando proprio in questo momento (“Stadi. Architettura e Mito”, 30 maggio 2025-09 novembre 2025). 

Oggi, gli stadi del Novecento tornano al centro del dibattito per due ragioni principali. Da un lato, la continua espansione urbana in Europa ha finito per inglobare strutture nate in aree periferiche, come accade anche per cimiteri e impianti industriali. Questo fenomeno ha costretto le città a ripensare la gestione dei flussi di spettatori e di traffico nei momenti di massimo utilizzo. Dall’altro, molte di queste architetture, pur firmate da grandi progettisti, soffrono di una rigidità strutturale che ne limita l’adattabilità a nuove funzioni. La difficoltà di ospitare eventi diversi dal calcio — concerti, spettacoli, sport alternativi — ne rivela i limiti, aggravati dall’uso di materiali oggi obsoleti come il cemento armato, simbolo di una stagione eroica ma lontana dai criteri tecnologici e ambientali contemporanei.

Un caso emblematico è lo Stadio Louis II di Monaco, progettato da Henri Pottier nel 1985. Costruito a pochi passi dal mare e dal centro città, è una delle opere più significative dell’architettura sportiva europea, ma anche un esempio della difficoltà di aggiornare strutture nate in un’altra epoca. Monumentale e iconico, lo stadio è oggi oggetto di ristrutturazione per migliorarne accessibilità e sicurezza. Un altro caso significativo è lo Stadio Municipale di Braga, progettato da Eduardo Souto de Moura nel 2003. Scavato nella roccia di un’ex cava, il suo posizionamento e la sua integrazione nel paesaggio lo hanno reso un capolavoro dell’architettura contemporanea. Ma anche qui, a vent’anni di distanza, emergono nuove domande: come ripensare queste strutture monumentali rispetto alle mutate esigenze sociali, ambientali e tecnologiche?

Molti degli stadi costruiti nel corso del Novecento si trovano oggi in una posizione critica. Pur riconosciuti come beni culturali (solo in parte), la loro sopravvivenza è minacciata dalla mancanza di funzionalità: carenza di flessibilità, inadeguatezza tecnologica, e scarso livello di sicurezza e inclusione. Quasi tutti sono stati concepiti su misura per un pubblico maschile, ignorando la diversità di genere e di età. È proprio su questo punto che si concentrano i grandi studi internazionali, come Zaha Hadid Architects e Populous, impegnati nel progettare stadi più accessibili e sicuri per tutti.

Accanto ai temi sociali, si aggiunge quello della sostenibilità ambientale. Gli architetti contemporanei stanno sostituendo il cemento armato con materiali a basso impatto, come il legno lamellare incrociato (CLT), gli acciai riciclati e le plastiche biocompatibili, per ridurre il carbonio incorporato nelle strutture. Anche i processi costruttivi stanno cambiando: l’uso della prefabbricazione e dell’assemblaggio in quota consente di ridurre tempi, costi e sprechi, rendendo le costruzioni più efficienti e reversibili.

Stadio San Siro, Milano

Stadio San Siro, Milano, ph. Delfino Sisto Legnani

Stadio San Siro, Milano

Stadio San Siro, Milano, ph. Delfino Sisto Legnani

Stadio San Siro, Milano

Stadio San Siro, Milano, ph. Delfino Sisto Legnani

Al Janoub Stadium, Al Wakrah, Qatar, Zaha Hadid Architects

Al Janoub Stadium, Al Wakrah, Qatar, di Zaha Hadid Architects, ph. Hufton+Crow

Al Janoub Stadium, Al Wakrah, Qatar, Zaha Hadid Architects

Al Janoub Stadium, Al Wakrah, Qatar, di Zaha Hadid Architects, ph. Hufton+Crow

Al Janoub Stadium, Al Wakrah, Qatar, Zaha Hadid Architects

Al Janoub Stadium, Al Wakrah, Qatar, di Zaha Hadid Architects, ph. Hufton+Crow

Tottenham Hotspur Stadium, Londra

Tottenham Hotspur Stadium, Londra, di Populous, ph. Hufton+Crow

Tottenham Hotspur Stadium, Londra

Tottenham Hotspur Stadium, Londra, di Populous, ph. Hufton+Crow

Tottenham Hotspur Stadium, Londra

Tottenham Hotspur Stadium, Londra, di Populous, ph. Edward Hill

Allianz Arena, Monaco

Allianz Arena, Monaco, di Herzog & de Meuron, ph. Herzog & de Meuron

Allianz Arena, Monaco

Allianz Arena, Monaco, di Herzog & de Meuron, ph. Herzog & de Meuron

Allianz Arena, Monaco

Allianz Arena, Monaco, di Herzog & de Meuron, ph. Herzog & de Meuron

Esempi di questa nuova generazione di stadi non mancano. Il Tottenham Hotspur Stadium di Londra (Populous, 2019) rappresenta un modello di versatilità, grazie al campo estraibile che consente di passare dal calcio al football americano in poche ore. L’Allianz Arena di Monaco, firmata da Herzog & de Meuron, con il suo involucro di ETFE traslucido, è diventata un’icona di sostenibilità e spettacolarità architettonica. Mentre l’Al Janoub Stadium di Zaha Hadid Architects, realizzato per i Mondiali del Qatar 2022, introduce un linguaggio fluido e aerodinamico ispirato alle vele dei dhow, unendo ingegneria avanzata e attenzione climatica.

A questo punto sorge una domanda inevitabile: quale sarà il destino degli stadi “obsoleti”, non più in grado di rispondere alle esigenze della società contemporanea? È possibile salvarli attraverso la ristrutturazione, o prevarrà il desiderio — come nel caso del Meazza di Milano — di sostituirli con nuove costruzioni? La risposta non è semplice. Ciò che andrebbe preservato, oltre al valore architettonico, è la memoria collettiva che questi luoghi incarnano: simboli identitari che raccontano la storia di intere generazioni. Demolirli significherebbe non solo cancellare un patrimonio culturale, ma anche generare un enorme impatto ambientale in termini di emissioni di CO₂.

In tempi in cui la sostenibilità è una priorità, la demolizione dovrebbe essere l’ultima opzione. Gli stadi potrebbero invece rinascere come centri polifunzionali: spazi per eventi culturali, fiere, concerti o attività sportive alternative, adattabili e permeabili al tessuto urbano. Un modello che ricorda, su scala monumentale, il progetto di recupero dello Scalo di San Cristoforo a Milano, dove la stazione incompiuta di Aldo Rossi diventerà, grazie al progetto di OMA e Laboratorio Permanente, un hub multifunzionale aperto alla città.

Non si tratta di un’utopia, ma di una possibilità concreta che richiede volontà politica, visione istituzionale e investimenti economici. Dietro ogni stadio si intrecciano interessi complessi — sportivi, commerciali, culturali — ma è proprio per questo che una riflessione condivisa tra architetti, istituzioni e cittadini appare oggi più urgente che mai. Ripensare gli stadi del passato non significa guardare indietro con nostalgia, ma immaginare come la memoria possa diventare infrastruttura per il futuro.

7 novembre 2025
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