Ilaria Marelli: dal “chissà se ce la faccio” ad “avrei voluto disegnare Alexa”

Ilaria Marelli

Sperimentatrice ed eclettica, passa dal prodotto alla comunicazione, agli allestimenti di mostre ed eventi. Tra grandi entusiasmi e (ancora) un pizzico di timidezza

Ilaria Marelli, classe 1971, di base sulle belle rive del lago di Como, è architetto e designer. Con una formazione al Politecnico di Milano, si è laureata sulle tematiche della progettualità strategica e relativi servizi con il Professore Ezio Manzini, con cui negli anni ha continuato poi un percorso di ricerca sull’abitare sostenibile. Ilaria ha un approccio strategico nei confronti del progetto, che per lei significa ragionare insieme all’azienda con cui collabora su quali temi sviluppare e come, per creare valore e identità comuni. A seconda delle esigenze che emergono in date condizioni, l’output può essere il prodotto, la comunicazione, gli allestimenti per mostre o eventi (da anni si occupa di Pitti), oppure tutto questo insieme! La sperimentazione, l’indagine di ambiti inesplorati, l’appassiona: cosa che rende il suo lavoro poco classificabile in uno stile o in un settore preciso. Come lei stessa sostiene, si tratta più di una “fluida metodologia di consulenza nel campo del design”.

Pitti 2020

Pitti 2020

Dopo l’università, ricordo che hai iniziato a lavorare al fianco di Giulio Cappellini, corretto?

La mia prima vera esperienza professionale è stata in azienda al fianco di Giulio Cappellini, dove ho fatto gavetta sia nel campo dello sviluppo prodotto, e della direzione artistica. Li ho avuto anche l’opportunità di conoscere una serie di grandi designer e creativi, cosa molto interessante per me: ricordo, ad esempio, la mia prima riunione con Shigeru Ban (poi Premio Pritzker nel 2014) per la sua collezione di mobili in cartone, i progetti con Paul Smith, gli allestimenti a Superstudio con Emiliano Salci. È stato sicuramente per me un periodo di grandi stimoli dal punto di vista creativo ma anche umano.

Andrea, Olivieri

Andrea, Olivieri

Il primo progetto da professionista?

Il primo è stato la lampada ARA per Nemo: ricordo che avevo preparato una serie di proposte per l’azienda, poi proprio poco prima dell’incontro mi è venuta l’idea di quella lampada e la schizzai al mio meglio su un foglio; piaciuta e sviluppata ovviamente con più cura, è poi diventata un prodotto di grande successo per l’azienda, ed è stata una tappa fondamentale nella mia carriera come designer indipendente.

Hai una routine in studio?

Ammetto che al mattino sono un po’ lenta, per cui dopo il caffè tutti insieme, la prima ora tergiverso un po’… Rispondo alle e-mail, sistemo cose secondarie, poi verso le 10 facciamo il punto sui progetti e ci dividiamo i compiti. E da lì si passa a far revisione a seconda dello status dei vari progetti in corso. La sera sono spesso l’ultima a uscire perché la mezz’oretta di tranquillità finale è per me oro. Mi serve per tirare le fila della giornata e aggiustare i programmi per quelle seguenti. Questo ovviamente quando non ci sono viaggi, sopralluoghi, eventi ecc., che sono un po’ il sale del nostro lavoro, ma che ovviamente in quest’ultimo anno si sono purtroppo ridotti al minimo indispensabile.

Pitti 2019

Pitti 2019 - Photo by Giovanni Corti

Quindi è uno degli aspetti che ti appassiona di più del tuo lavoro?

Mi entusiasma molto quando mi accorgo che con il supporto del lavoro dello studio siamo riusciti a far fare un salto in avanti al nostro cliente, in termini di offerta, di comunicazione o anche solo di consapevolezza rispetto al valore che il design può portare in azienda. Poi, devo dire, mi piace tantissimo imparare cose nuove, sperimentare, per cui visitare le aziende di produzione, ma anche i luoghi della distribuzione; è per me fondamentale

E qual è l’aspetto del tuo lavoro più ostico?

Devo dire che mi affaticano gli aspetti manageriali, gestionali della quotidianità dello studio, li seguo ovviamente perché è giusto averne consapevolezza, ma ammetto che non mi dispiacerebbe avere un partner in grado di occuparsene!

Allure, Slide

Allure, Slide - Photo by Miro Zagnoli

Se dovessi rincominciare tutto da capo, a livello professionale, cosa cambieresti o miglioreresti?

Sicuramente partirei con più autostima. Ci ho messo tanto a prendere la decisione di mettermi in proprio, con il pensiero del “chissà se ce la faccio”. E forse collegata a questo un po’ di timidezza – che devo ancora vincere. Faccio sempre fatica a propormi, per cui tendenzialmente ho lavorato con aziende che mi hanno chiamato per un incarico, per cui ogni tanto ho il cruccio di non essere stata più propositiva io stessa rispetto ad ambiti che mi interessavano.

Sensazione prima alla conclusione di un progetto a cui hai lavorato a lungo?

Una grande emozione: devo dire che quando si inaugura uno showroom o un allestimento, si sfoglia la prima copia di un catalogo stampato, si presenta un progetto di prodotto, c’è proprio la sensazione di festa, di aver portato a compimento un lavoro in team. Poi ammetto che nei giorni seguenti esiste anche una certa sensazione di vuoto, perché in fondo ogni progetto è una creatura che fai crescere e quando inizia ad andare per la sua strada, già ti manca!

ad catalogo Gaber

ad catalogo Gaber

Quali i progetti in via di presentazione e quelli che avvereranno a breve?

Nel campo del product design ho appena presentato due lampade: Aura e Allure per Slide, per uso indoor-outdoor, che esplorano un ambito nuovo e promettente per l’azienda. Sto poi sviluppando due progetti di imbottiti, uno contract e uno per esterni, due nuove lampade, una collezione di arredi in nido d’ape, un sistema audio e qualche altro concept ancora a uno stadio più iniziale. Incrocio le dita e spero di essere in tempo per il prossimo Salone! Mi sto poi occupando di progetti di consulenza sulla comunicazione, come di progetti di showroom aziendali. Ora che le fiere sono ancora in stand-by le aziende si sono organizzate per creare nei propri spazi dei luoghi per ricevere che abbiano un turnover frequente e flessibile per la presentazione dei loro progetti. Nel campo del fashion sto lavorando su nuovi concept per il retail moda, che deve necessariamente ripensare le sue logiche in un’ottica phigital.

Turntable, Como Audio

Corporate Design consultancy, Como Audio - Photo by Luca Casonato    

Un oggetto che avresti voluto disegnare tu?

Alexa, nelle sue varie varianti fisiche. Mi piace l’idea di avere un tool con cui comunicare a voce, anche se spesso ci litigo.

Un aneddoto curioso e divertente che ti è capitato sul lavoro?

Il mio primo negozio moda a Tokyo, nel 2006 era una competizione per 3 studi di design, con consegna entro il 10 luglio – mai avrei immaginato che il 9 luglio sarebbe stata la finale dei mondiali vinti dall’Italia! Per cui la sera prima ero in grande ansia per ultimare la consegna… spariti tutti gli assistenti maschi alfa, avevo assoldato un ex stagista turco, il mio ex coinquilino olandese che lavorava da Aldo Cibic per darmi una mano e via a photoshoppare render e impaginare con un televisore minuscolo procacciato last minute sullo sfondo di un silenzio irreale in tutta Milano! Per fortuna almeno abbiamo poi vinto – sia i mondiali, sia la competizione per il negozio.

10 agosto 2021