Designer per un giorno
Cosa hanno in comune Alain Delon, Lenny Kravitz, Lapo Elkann, Jean Paul Gaultier e Carlo Cracco? Uno spirito creativo che li ha portati a superare la loro comfort zone e a scommettere su un progetto alternativo.
Che cosa avresti fatto, se non fossi diventato attore, musicista, cuoco, stilista…? Il designer! Risponderebbe, forse, così chi, benché affermato nel proprio campo, abbia deciso di giocare, almeno una volta nella vita, la carta dell’impegno progettuale. A ben vedere, il fil rouge che accomuna questi personaggi (e le loro professioni), ponendoli a poca distanza dal design, è proprio la creatività. A questo, si aggiunga l’incontro fortunato con un’azienda che abbia saputo andare al di là di un “nome” per puntare sulle idee di un non-addetto-ai-lavori e la magia è fatta.
Capita, allora, che, nel 1975, Alain Delon, il divo per eccellenza, non solo firmi ma presenti personalmente, proprio al Salone del Mobile, la “sua” collezione d’arredo, il cui stile ricorda quello dei gangster del grande schermo o di qualche miliardario arabo dell’epoca. L’attore lo definì né nuovo né vecchio, né futurista né antico. Ma stile Alain Delon. Cosa successe realmente? Un certo Vittorino Sabot, proprietario tenace e visionario di una ditta di mobili di Udine, riuscì a convincere l’attore ad autenticare i prodotti. Ancora oggi, non è difficile trovare in rete uno di quei tavoli da cocktail in vendita tra i 1.000 e i 2.000 euro.
Qualche anno prima, anche un personaggio del calibro di Tullio Eugenio Regge, fisico, matematico e accademico italiano noto come uno dei più influenti pensatori scientifici del XX secolo, si cimentò nell’attività di designer. A intercettarlo fu Carlo Tondato, un imprenditore che collaborava con Gufram in una Torino animata dalle sperimentazioni della Pop Art, della Minimal Art e dell’Arte Povera. Tondato gli chiese il progetto di una seduta e Regge si mise all’opera. “Scelsi una forma di assoluta purezza matematica, ossia una ciclide di Dupin”, racconterà lo stesso scienziato. “Grosso modo appare come una forma toroidale schiacciata da un lato, una ciambella con un buco centrale, fatta di schiuma plastica e rivestita da una stoffa elastica”. Nacque Detecma − acronimo di Design, Technique e Mathematics – e fu un caso epico per l’azienda (e per tutto il mondo del design) perché è il primo arredo progettato utilizzando un calcolatore elettronico e realizzato con il poliuretano espanso.
Più recentemente, uno dei brand che ha saputo cogliere la ricchezza emotiva e progettuale di outsider del design, è Kartell. Il suo portfolio è ricco di nomi “alternativi” che connettono mondi, culture, generazioni. Dall’icona rock Lenny Kravitz con “Kartell Goes Rock”, rivisitazione della Mademoiselle chair di Philippe Starck, a Marcelo Burlon, dj, stilista, fotografo, con la personalizzazione grafica del suo logo su oggetti must have dell’azienda. Da Jeremy Scott, alla guida della maison Moschino, con la lampada da tavolo che reinterpreta l’irriverente orsetto del marchio, a JJ Martin, giornalista, influencer e creative director, che ha selezionato una serie di prodotti, vestendoli con stampe vintage. Fino a Lapo Elkann che ha reinterpretato le icone di Kartell con la tecnica del car wrapping in una collezione speciale in serie limitata.
Non pochi sono gli stilisti che hanno sconfinato dal fashion all’industrial design. Il genio creativo di Jean Paul Gaultier e di Kenzo Takada, per esempio, è stato intercettato da Roche Bobois, che ha chiesto loro di reinterpretare il divano Mah Jong. Così, l’enfant terribile della moda francese lo riveste con il suo tema emblematico marinaro, mentre Kenzo si ispira agli antichi kimono del Teatro No, reinterpretandone le fantasie ed i colori. Entrambi furono ben lieti della collaborazione in quanto condividevano lo sguardo creativo e originale del brand e perché, come affermò Gaultier, i mobili hanno anche il vantaggio di non lamentarsi se li si punge!
Anche Antonio Marras ha riproposto maxi fiori, pied-de-poule, tartan e inediti interventi pittorici da lui realizzati sui tessuti di velluto, lino e panni di lana delle sedute e degli imbottiti di Saba. Lui, grande sostenitore della collaborazione tra arte, arredamento e moda, si è prestato con grande senso di avventura a questa collaborazione e diceva: “Le persone non si incontrano mai per caso, noi (ndr. lo stilista e Amelia Pegorin, CEO del brand) ci siamo conosciuti con le matite perché c’era un disegno”.