Arper, l’intervista al Presidente Claudio Feltrin

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Arper, Shaal, design Doshi Levien, photo courtesy 

“Pensare in libertà, contare su un territorio ricco di possibilità, senza un vincolo su un singolo materiale, una direzione ampia. Questi gli elementi principali con cui abbiamo costruito la nostra storia. Una visione che ha aiutato ad aprirci”. In conversazione con Claudio Feltrin, Presidente di Arper

Come è nata Arper?

Arper è nata da un progetto familiare: mio padre - con la sua esperienza nell’ambito del commercio di tessuti e pelli per l'arredamento - mio fratello ed io. La scelta di intraprendere la produzione delle sedute deriva dalla volontà di andare oltre il terzismo puro, forti dell’esperienza nel mondo arredo. 

La prima collezione di sedute, disegnata da me, fu presentata al Salone del Mobile nell'89, anno della nostra nascita. Ricordo che, nonostante il nostro stand si trovasse in un angolino remoto della Fiera, qualche cliente ci trovò e così partì l‘avventura!

Negli anni ‘90 si guardava a pezzi di design come la sedia rivestita in cuoio Cab di Mario Bellini per Cassina. Seguendo quell’onda, avviammo produzioni dedicate alla casa, con un linguaggio rivolto al moderno che ci consentì di raggiungere una buona dimensione.

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Claudio Feltrin, photo Giovanni Gastel

Il momento di svolta.

Verso la fine degli anni ‘90 ci siamo resi conto che dovevamo compiere un salto qualitativo, nel frattempo la moda del cuoio era un po’ diminuita. Nel 2000 oltre al mercato del contract, più ampio e meno frequentato rispetto a quello della casa, decidemmo di guardare a uno stile più lineare, scandinavo. Serviva l'approccio giusto: iniziò la collaborazione con lo studio Lievore Altherr Molina.

Fu un incontro fortunato fra noi che volevamo cambiare e loro che hanno creduto in noi, interpretando la nostra volontà. Ricordo che quando cercai di esporre i nostri obiettivi, Lievore stesso mi chiese: “cosa vuol dire design per voi?”

In quel 2000 di “sliding doors” si pose la necessità di inserire nella gestione di famiglia una figura esterna che portasse in azienda quell’esperienza gestionale da noi supplita con buona volontà, intuizioni, ore di lavoro nel progetto. 

Contestualmente alla ricerca del designer entrò la figura del direttore generale. 

 

Come è avvenuto l’incontro con Lievore Altherr Molina?

Al Salone ho avuto la possibilità fin dall’inizio di incontrare un altro tipo di mercato e di persone che ci hanno permesso di concretizzare le nostre aspirazioni. Per questo il Salone è per me importante.

Lo è per le piccole medie aziende che vogliono essere in contatto con un mondo che cambia continuamente.

 

È ancora così?

Sì, secondo me sì. Nelle fiere le piccole aziende trovano lo spazio di visibilità che altrimenti non avrebbero modo di avere.

Per entrare sul mercato sono necessari investimenti e costruzione di una struttura di vendita. Esistono passaggi fondamentali per la qualità dello sviluppo aziendale. Nel nostro caso, la fiera ha agevolato quel “salto” che ci consentisse di rispondere alla domanda di Lievore “cosa vuol dire design per voi?

 

Che risposta ha dato alla domanda di Alberto Lievore?

Design è pensare in libertà, contare su un territorio ricco di possibilità, senza un vincolo su un singolo materiale, una direzione ampia. Questi i quattro elementi principali con cui abbiamo costruito la nostra storia. Una visione che ha aiutato ad aprirci.

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ARPER, Catifa, design Lievore Altherr Molina, photo courtesy 

La vostra organizzazione aziendale.

Strutturata, non legata esclusivamente alla famiglia. Purtroppo abbiamo perso mio papà durante il periodo Covid… quarant'anni di lavoro insieme. Un papà meraviglioso, soprattutto perché era un papà dal carattere forte ma anche molto aperto a spronare i figli a creare la loro strada. Ci ha dato grande libertà: onore ai suoi insegnamenti. Lo spirito è quello, lo stiamo conservando nell'azienda, oltre all'apertura mentale: l’azienda familiare intesa come visione. Siamo contenti della strada intrapresa, dei risultati raggiunti e ovviamente vorremmo fare meglio, e faremo meglio.  

 

Un prodotto a cui è particolarmente legato?

La Catifa, nata l’anno dopo l’incontro con Lievore Altherr Molina, incarna la nostra visione in ambito contract. L’idea meravigliosa è arrivata in un volo aereo di ritorno da Chicago, quando hanno portato il vassoietto e la classica tazzina per la colazione. La tazzina era blu cobalto con una plastica blu esterna e bianca interna: da lì l’idea di un prodotto in plastica con due colori. Come realizzarlo?

Un amico industrializzatore mi spiegò che le doppie iniezioni subiscono ritiri perché i due prodotti raffreddano in tempi diversi provocando deformazioni. Seppi che era l’idea giusta per un prodotto che avesse una caratteristica che non aveva nessuno. 

Abbiamo presentato in fiera dei prototipi, lo stand era pieno. Eravamo in un momento cardine di cambiamento per l’azienda e per cinque-sei anni vendemmo tantissimo. Il nostro vantaggio fu di aver creato il nostro mercato, la nostra immagine aziendale e il nostro marchio.

Un altro prodotto è Leaf (design Lievore Altherr Molina, 2005), una sedia molto iconica che, anche se in termini di vendite non è paragonabile alla precedente (i costi sono diversi), rappresenta la nostra anima. Tengo molto anche al tavolo Nuur (design Simon Pengelly, 2009) premiato con il Compasso d’Oro.

 

Parte di questa trasformazione è anche la nomina di un AD l'anno scorso?

Siamo state tra le prime aziende ad ottenere la certificazione ISO 9000, tra le prime ad avere un consiglio di amministrazione aperto non solo ai componenti della famiglia.

Da un anno abbiamo nominato amministratore delegato Roberto Monti. Un incontro che ci ha trovati allineati con le idee, gli sviluppi e le basi per il futuro. La nostra azienda è e rimane di proprietà familiare, ma controllata da un consiglio di amministrazione partecipato dalla famiglia. È l'imprenditore a fare l'impresa ma è anche l'imprenditore che la uccide. È essenziale dare spazio a figure professionali non familiari.

Arper, Salone milano, stand

Arper, Salone 2022 stand, photo Jose Hevia

I suoi figli sono in azienda?

Il maggiore ha 39 anni, fa lo chef e ha un suo ristorante seguendo la sua passione. Il minore ne ha 36, ha lavorato in Arper per circa quattro anni, ma alla fine, pur apprezzando questo mondo, ha scelto una strada diversa, la sua, legata al mondo delle arti visive e della cultura.

Gli ho detto: prima cosa devi sentire le farfalle in pancia, se non le senti lascia stare.

 

Il tema della sostenibilità.

La sostenibilità è uno dei crocevia sul quale tutte le aziende del nostro comparto devono investire, perché questo è il futuro. È una trasformazione - non una certificazione - un cambio di mentalità che segue il mercato. Essere partecipi a questo cambiamento e metterne in moto il processo per me è motivo di orgoglio. 

 

Il ruolo del digitale.

È imprescindibile. Durante il Covid ci ha aiutato a parare il colpo, però ci siamo anche resi conto che non sostituisce il fisico. Vendiamo prodotti che hanno forma ed esprimono il fascino della fisicità: sedute, mobili, superfici vanno testati e toccati. Al digitale va data la giusta misura. Le transizioni portano verso il domani tenendo conto di quanto costruito di buono prima. Anche se difficile da tenere, l'equilibrio è fondamentale e la Federazione deve avere questo compito.

 

Qualche anticipazione sul Salone?

Avremo novità… qualcosa che va un po’ fuori dal nostro ambito storico.

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Arper, Juno, design James Irvine, 2012 – new edition 2022, photo Salva Lopez

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Arper, Leaf, Lievore Altherr Molina, photo courtesy 

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Arper, Oell, design Jean-Marie Massaud, photo Salva Lopez

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27 marzo 2023