Anniina Koivu: young design generation

Anniina Koivu: young design generation

200 studenti da 22 Paesi, 48 scuole di design per una grande mostra, unica nel suo genere. “The Lost Graduation Show”, l’iniziativa del “supersalone” dedicata alle scuole di design apre le porte a Fiera Milano Rho dal 5 al 10 settembre. Anniina Koivu, la curatrice del progetto espositivo, racconta le urgenze, i nuovi linguaggi e i desideri delle nuove generazioni di designer.

Come è nata l’idea della mostra? 

Quando Stefano Boeri mi ha invitata a far parte del gruppo curatoriale del “supersalone”, mi ha chiesto se volessi fare qualcosa con gli studenti e con le scuole. Così ho proposto una grande mostra che non era mai stata pensata e che rappresenta un palcoscenico unico per i giovani progettisti proprio nel cuore dell’industria del design, nei padiglioni della Fiera.  

 

Qual era il concept? 

La proposta era abbastanza chiara, ovvero parlare delle scuole ma in maniera non autoreferenziale. Abbiamo avuto un approccio museale, creando un allestimento unico e omogeneo in base all’ampia selezione, tutti i progetti sono in mostra come fossero pezzi di un museo. Non ci sono render o idee grezze ma prototipi tridimensionali esistenti per far capire al pubblico quali sono davvero le proposte. 

 

Per chi è stato pensato? 

“The Lost Graduation Show” è stato concepito per quei giovani designer che sono pronti a fare il loro debutto nel mondo del mercato. Allo stesso tempo la mostra fornisce una possibilità a imprenditori, produttori, designer, giornalisti e altri professionisti del design, così come al pubblico in genere, di osservare le ultime novità in tema di giovane design. Inoltre, dopo un’interruzione di diciotto mesi, la mostra è un invito a ri-stabilire un importante dialogo focalizzato sul futuro del design. 

 

Come avete immaginato l’allestimento? 

I designer Camille Blin e Anthony Guex hanno avuto una bellissima idea per l’allestimento, hanno capito subito il brief del “supersalone” e hanno cercato un materiale sostenibile che potesse ritornare nel ciclo della produzione. Abbiamo trovato Xella che è un produttore internazionale di materiali da costruzione che ci hanno dato in prestito 9000 blocchi Ytong che poi restituiremo, il tutto a costo zero e con un impatto ecologico virtuoso. Per chi non potrà essere a Milano tutti i lavori selezionati sono esposti sulla piattaforma Instagram @thelostgraduationshow. Speriamo che la presentazione digitale possa servire anche come vetrina di reclutamento per chiunque voglia contattare direttamente i giovani designer. 

 

Come hanno risposto alla open call lanciata per “The Lost Graduation Show”? 

Ci sono arrivate 400 proposte, ci sono 170 oggetti disegnati e progettati da circa 200 studenti, 22 paesi e 48 scuole. Le idee arrivano dall’Europa, dal Canada, dagli Stati Uniti, dal Messico, dal Qatar, Israele, Indonesia, India, Russia, Giappone. Tutte le scuole di design a cui abbiamo mandato l’invito hanno replicato.  

 

La curiosità è che tanti progetti rispondono a temi simili in tutto il mondo. Esiste una collettività di pensiero? 

Spesso siamo abituati a dare delle etichette - Italian design, Scandinavian design - ma questa volta ho avuto la percezione che non siano più adatte e che sia difficile capire da dove provengano determinati progetti. Molti prodotti selezionati sono soluzioni a problemi analoghi, tante proposte sono legate alla medicina e al benessere, più che a una tipologia di prodotto. Il punto non è la sedia, piuttosto un tema più universale e globale con proposte locali e individuali.  

 

Si avverte una grande urgenza a risolvere i problemi di oggi, alla faccia di chi dice che le nuove generazioni siano perdute. Che ne pensi? 

Sì, si avverte una grande urgenza a risolvere i problemi di oggi. Inoltre, se guardiamo questi progetti, mi verrebbe da dire che c’è una grande attenzione ai processi di produzione, ai materiali e alle tipologie. La cosa interessante è che molti giovani designer realizzano i progetti nei propri laboratori e si stanno auto-inventando la possibilità di produrli, riscoprono lo spirito del do it yourself, forse anche per le difficoltà a entrare nel mondo dell’industria. 

 

Qual è oggi il ruolo delle scuole di design? 

La scuola è fondamentale nella formazione degli studenti. È il luogo dove apprendono gli strumenti della loro futura professione. Ma non è un luogo astratto. Sono gli insegnanti che aiutano a formare un pensiero e una propria identità da designer. L'impatto di un insegnante può essere enorme, paragonabile all'influenza del classico maestro. 

 

Cosa si può imparare da questa mostra? 

Credo che questa mostra sia uno stimolo per le aziende. Gli studenti, anche se in maniera ingenua, possono pensare liberamente e ripensare i prodotti, le forme e modi di produrre. Certo poi bisogna confrontarsi con la realtà, che può essere brusca. Ci sono competizione, regolamenti molto severi, i limiti aumentano: le aziende dovrebbero ricordarsi di credere nei giovani e avere la lungimiranza di comprendere quando un’idea può essere messa in campo. La mostra è un invito per i produttori a credere nel valore dei giovani: concedete il tempo di provare, sperimentare e sbagliare. 

 

C’è ancora chi sogna di fare il designer oggi come oggi? C’è ancora la voglia di cambiare il mondo? 

A volte si sottovaluta cosa significa davvero fare il designer. Gli studenti in mostra hanno grinta e desiderio, si sono specializzati e hanno capito che non si tratta solo di disegnare una nuova sedia ma, piuttosto, di cambiare il sistema. 

David Oberlin Hasiholan

courtesy: David Oberlin Hasiholan

David Oberlin Hasiholan

courtesy: David Oberlin Hasiholan

David Oberlin Hasiholan

courtesy: David Oberlin Hasiholan

Sarah Hossli

courtesy: Sarah Hossli

Sarah Hossli

courtesy: Sarah Hossli

Simon Gehring

courtesy: Simon Gehring

Simon Gehring

courtesy: Simon Gehring

Simon Gehring

courtesy: Simon Gehring

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9 settembre 2021