ADI e il percorso per un design più responsabile

ADI Design Index 2021, Roma

ADI Design Index 2021, Roma. Ph. Roberto De Riccardis

La Commissione Sostenibilità ADI racconta in che modo il mondo del progetto sta cambiando e quali sono le prossime strategie per vedere un reale cambiamento

Come anticipato nel precedente articolo legato all’ADI Design Index 2021, per la prima volta il premio più ambito del design sarà incentrato sul tema dello “Sviluppo sostenibile e responsabile”. La scelta non è solo frutto dello scenario attuale, ma è il risultato di un percorso iniziato quasi 35 anni fa.

L’esperienza di ADI nel mondo della sostenibilità inizia, infatti, nel 1987 con il primo Design Memorandum, aggiornato poi nella versione 2.0 nel 2013 dal direttivo ADI e recepito dalla Commissione Sostenibilità, nata lo stesso anno. Giuliana Zoppis, architetto e giornalista che coordina la Commissione, racconta nel nuovo ADI Design Index 2021 come, quest’anno, un segnale importante emerga dai progettisti nell’esprimere soluzioni e disegnare prodotti di lunga durata, facilmente disassemblabili, ricondizionabili e riparabili. “Il compito di noi tutti è, oggi più che mai, di partecipare al salto culturale verso una coscienza ambientale e sociale su larga scala, valorizzando quegli oggetti, materiali e servizi in grado di collaborare al benessere delle persone e del Pianeta. Come sancito dalle linee-guida del prossimo Compasso d’Oro, per la prima volta incentrato sul tema dello Sviluppo sostenibile e responsabile”.

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ADI Design Index 2021, Roma. Ph. Roberto De Riccardis

Roberto Marcatti, architetto, designer, Water Ambassador, pone l’attenzione sull’etica, che deve necessariamente legarsi alla sostenibilità nel prodotto: “Un oggetto di produzione industriale non può prescindere da due aspetti: il primo di ordine materiale che attiene ai processi attuativi, il secondo filosofico-comportamentale che coinvolge l’etica e la sostenibilità… Oggi l’idea di prodotto, in bilico tra produzione seriale e artigianale, necessita di un vero cambiamento: non ci si può più accontentare di manipolare la forma e dimenticare l’uomo, le sue necessità, l’ambiente”. Come suggerisce Marcatti, ribadendo ciò che diceva Victor Papanek nel sempre attuale Design for the real world, bisognerebbe iniziare a dedicare una piccola parte della nostra creatività ai bisogni dell’uomo. “Praticare questa idea e modalità di vita nei confronti della collettività, proponendo progetti sociali, etici e sostenibili, ritengo che possa contribuire concretamente a migliorare il mondo”.

ADI si pone alla ricerca di un nuovo significato del progetto, come ricorda Ida Castiglioni, architetto e ambientalista. È necessario pensare in maniera critica “se un oggetto merita di essere prodotto, se il materiale scelto sta per esaurirsi, se un servizio vale la pena di essere attivato. La figura del designer ritorna centrale: può offrire soluzioni strategiche a problemi relativi non solo a forma-funzione, ma anche in relazione a questioni di utilizzo-spreco-consumo e all’impiego di materiali, lavorazioni, quantità di energia più praticabili e sostenibili”. Oggi il vero tema di discussione dovrebbe essere l’eccesso dei prodotti proposti dal mercato e le conseguenze dell’eccesso dei consumi e dei rifiuti. “In questi anni, la spinta collettiva sta indirizzando alla fruizione condivisa di oggetti e spazi: coworking, cohousing, bike e car-sharing. La base sociale sta esprimendo esigenze nuove e chiede al progettista di interpretarle e svilupparle con progetti rivolti al futuro”.

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ADI Design Index 2021, Roma. Ph. Roberto De Riccardis

Alle parole della Commissione Sostenibilità si aggiungono anche quella di Silvia Piardi, passata da un anno alla Commissione Targa Giovani. Docente onoraria del PoliMI, il suo è un ruolo di "ponte della transizione eco" verso i giovani studenti e nuovi designer. La sua analisi lucida e critica pone l’attenzione su uno dei maggiori problemi per la sostenibilità, la semplificazione: “La spinta determinata dal Next Generation Ue, le nuove politiche cinesi, il cambiamento di prospettiva determinata dalla fine del trumpismo negli Stati Uniti stanno profondamente modificando anche la sensibilità del pubblico dei non addetti ai lavori. Una valanga di buone intenzioni e di dichiarazioni “green” invadono tutti i settori e in particolare il mondo della progettazione, che “sposta la materia del mondo”. Stiamo vivendo quindi un momento particolarmente interessante, in cui risulta difficile discernere, in questa grande cacofonia, tra le buone pratiche, efficaci, e le parole vuote o le soluzioni inutili, se non controproducenti. Perché il vero pericolo ora, che tutti sembrano convertiti al design sostenibile, è proprio quello della semplificazione. In nome di una filosofia “green” si propongono soluzioni che a volte sono peggiori, in termini ambientali, di quelle usuali. Se da un lato la sostenibilità deve diventare una pratica diffusa, imprescindibile in ogni progetto, dall’altra questa improvvisa e multiforme proliferazione necessita sempre di più di una verifica etica, critica e scientifica sui progetti che vengono proposti, uno sguardo trasversale esperto, che sappia leggere sotto la superficie.