L’impresa della sostenibilità secondo Roberto Monti
Il “nuovo” AD di Arper ci spiega visioni, strategie e valori di un’azienda che progetta per migliorare le relazioni. Inclusa la più importante: quella tra uomo e natura
A quasi un anno dalla sua nomina come Amministratore Delegato di Arper, Roberto Monti ci racconta del suo nuovo incarico, del suo impegno nel fare la differenza su tematiche quali sostenibilità e strategia internazionale e di un brand dai “sani” valori, che opera mettendo al centro responsabilità ambientale e benessere delle persone, siano esse dipendenti, fornitori o clienti. Cercando sempre di non perdere in identità, coerenza ed empatia.
Un racconto diretto, onesto e concreto, da cui si percepisce un grande rispetto per l’azienda e il desiderio di vincere, insieme alla squadra, diverse partite fondamentali. Su tutte, quella della circular economy (dato che il metaverso non sarà, nella sua visione, il nuovo eldorado del design).
Conoscevo di fama il brand Arper ma ho incontrato Claudio solo qualche anno fa in seno ad AIDAF (Associazione Italiana delle Aziende Familiari), quando era appena stato nominato presidente di FederlegnoArredo. Dialogando, abbiamo compreso di avere pensieri e visioni affini relativamente alle sfide e alle opportunità che l’industria del mobile italiano si trovava ad affrontare. In particolare, Claudio mi ha chiesto una consulenza sul tema della sostenibilità: sono entrato in contatto con l’azienda e i colleghi in Arper e mi sono reso conto di come il brand fosse un “piccolo gioiellino” con forte identità, sani valori, grande potenzialità, al cui centro, vi era, in maniera molto genuina, la responsabilità ambientale. Tutto questo mi ha portato ad accettare la proposta di Claudio Feltrin.
Ho accettato di entrare in Arper proprio per la sua apertura e vocazione all’internazionalità, per la sua capacità di comprendere mercati e contesti differenti da quello italiano. In questo senso, c’è molto lavoro da fare per nutrire, promuovere e sviluppare questa strategia, aumentare sempre più il livello di “awareness”, reputazione e considerazione, senza ovviamente cambiare l’identità del brand. Vogliamo proseguire su questo percorso con tutto ciò che il brand propone: prodotti ma anche soluzioni per spazi e relazioni. Si tratta di potenziare e ampliare l’offerta per contestualizzarla in ambiti nuovi e cross-settoriali perché, se la versatilità è una delle forze di Arper – che ci permette di inserire il brand in spazi e momenti di vita differenti – questa sua fluidità deve sfruttare al meglio la forza di tutti i nostri punti vendita e trovare anche nuovi touch point.
Penso molto, ma è importante stabilire cosa si ritiene essere un “successo” e con quali parametri lo si misura. Al di là di un metro di giudizio puramente economico, a noi sta a cuore la penetrazione del brand e, sebbene il prodotto Arper sia molto conosciuto e ben posizionato, c’è sempre un ampio margine di crescita. Ma vogliamo crescere facendo ciò che è giusto per il brand, per la sua identità, per i suoi valori, senza avere l’ossessione di una “cifra” da raggiungere.
Quando si tratta di sviluppare nuovi prodotti e modalità di produzione e distribuzione sostenibili bisogna avere una road map molto forte e concreta che ti consenta di avere forza finanziaria e capacità di incontrare i mercati in modo pertinente. Da una parte, infatti, il consumatore è sempre più sensibile e attento al pianeta, dall’altra non è semplice per lui comprendere fino in fondo cosa una reale responsabilità ambientale comporti a livello di produzione e materiali. Per questo è facile confonderlo. Quindi è molto importante, come azienda, avere una propria “bussola”, essere cosciente e coerente con le proprie scelte e poi farle atterrare nel concreto, nei prodotti e nella comunicazione, senza perdere di vista l’obiettivo.
Finora Arper ha fatto un grande lavoro non solo a livello di produzione sostenibile ma anche di sviluppo di standard che sono divenuti punto di riferimento per l’industria del mobile. Certo, a livello di settore, passare da un’economia lineare a una circolare non è semplice e implica sforzi molto maggiori e il coinvolgimento di molti più interlocutori. Noi ci siamo dati una serie di obiettivi come brand attraverso il programma “Ten Jobs in Five Years”, che è trasversale a tutta l’azienda e parte dalla cultura aziendale fino a entrare nel concreto delle operations, comprendendo tutta la catena del valore, dai fornitori a monte a quelli a valle. Tutto ciò si fonda su tre pilastri in cui Arper crede fermamente: Qualità e Benessere per le persone, Transizione da un’economia lineare a circolare, Riduzione dell’impatto ambientale.
Parlerei di un po’ di fluidità in relazione all’ambiente di vita, quello che noi chiamiamo the project of living. In un mondo in cui le persone si pongono sempre più domande come Dove e come voglio vivere? senza fare una divisione netta tra lavoro e vita privata, è indispensabile che vi sia una sorta di empatia da parte del brand che consenta di sviluppare in un certo modo il prodotto perché poi possa essere inserito al meglio nel contesto, o nei contesti, che l’utente preferisce. Ecco, l’interior design, così come concepito da Arper, porta in sé questo valore aggiunto: non si tratta di “piazzare” un prodotto nello spazio ma di dargli una ragione d’essere in più.
Sono convinto che lo spazio fisico continuerà ad avere la sua importanza. Cambierà magari la sua natura, dovrà trovare e offrire nuovi valori ed esperienze. Oggi siamo già tutti passati all’omnichannel: il consumatore non fa tutto su un unico canale, per cui diventa fondamentale comprendere e personalizzare il customer journey, utilizzando il digitale in maniera diversa da quanto si faceva dieci anni fa. Il digitale ha sicuramente la capacità di attrarre, creare interesse e offerta – anche se esistono flagship store pensati per essere puro statement di un brand – ma poi bisogna capire quanto riesca anche a soddisfarla. Nel senso che, nel nostro settore, si vorrà sempre andare in negozio per toccare il materiale, vedere dal vivo un colore, provare un prodotto. Poi si sceglierà come acquistare, ma, intanto, il processo, è stato un mix.
Sarà complementare e funzionale, avrà un suo ruolo chiave ma non sarà esclusivo. Saranno i brand a decidere quanto vogliono puntare su quella dimensione.
Per quanto mi riguarda, poter far la differenza. Ma anche il brand ha quest’ambizione: far la differenza come design company e come leading example of responsible business.