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Intessere l’Arte Indiana: tradizione, contemporaneità e design

Intessere l’Arte Indiana, Library of Light, Salone del Mobile.Milano 2025
Durante l’ultimo Salone del Mobile, un talk esplorato come il tessile indiano, da lungo tempo etichettato in Occidente come semplice artigianato dal sud del mondo, stia guadagnando riconoscimento come vera e propria forma d’arte. Anche grazie al collectible design
La storia dell’eccellenza dei filati indiani è tra le più antiche al mondo, tanto che i primi tessuti tinti ritrovati nella regione risalirebbero al 2500 a.C. Il tessile di quell’angolo del mondo, sin dai tempi più lontani, era talmente rinomato che nell'antica Grecia e a Babilonia il termine "India" era sinonimo di "cotone". Con un background così importante, è facile comprendere perché il tessile sia stato, e ancor oggi rimanga, profondamente intrecciato con la cultura e con l’arte indiana, così come la sua società contemporanea.
Questo è stato il punto di partenza della conversazione che, durante l’ultima edizione del Salone del Mobile si è tenuta all’interno Library of Light, la scultura luminosa e rotante progettata da Es Devlin al centro del seicentesco Cortile d’Onore della Pinacoteca di Brera. Ospiti la interior designer e influencer Vinita Chaitanya, la scrittrice e docente universitaria Urmila Chakraborty e la consulente Malika Verma, fondatrice di Border&Fall, il talk - intitolato non a caso Intessere l’Arte Indiana – è partito da un dato di fatto: i tessuti indiani sono da secoli una forma d’arte raffinata, che incarna abilità, tradizione e identità culturale.
Artigianato o arte?
Il raggio di tale bellezza è ampio e parte da un filo intrecciato con sapienza, per concludersi con intricati drappeggi di stoffa. Pensiamo alla seta Muga, che si ricava srotolando il bozzolo del baco, ottenendo un tessuto liscio e lucente (così diversa dalla seta Eri, filata come fosse lana, morbida e opaca). Se si guarda alle decorazioni, tra le migliaia di esempi ecco le preziose lavorazioni in metallo, dette zardosi, tanto amate dai sovrani Mughal. Pochi oggi ricordano che il chintz, oggetto del desiderio nell’Europa del 1600, è nato in India con il nome di kalamkari – mentre l’esportatissimo motivo a paisley è conosciuto nell’India settentrionale come buta o boteh. Nonostante tanta creativa espressione, nel mondo occidentale, complice lo sfruttamento coloniale britannico dell'economia locale, il tessile indiano è stato per troppo tempo relegato nella categoria di artigianato, anziché essere riconosciuta come arte vera e propria.
Malika Verma ha ricordato al pubblico il senso di questa discussione: i confini tra arte e artigianato stanno diventando sempre più sfumati. Ragion per cui è fondamentale porsi una domanda fondamentale: il riconoscimento del tessile indiano come forma d’arte può valorizzare il lavoro degli artigiani? "Nel mondo dell’artigianato in generale è necessario che venga attribuito un maggiore valore economico all'artefice, all'abilità e al prodotto finale. Mancano ancora responsabilità e trasparenza in questo senso" secondo Verma. "Forse riconoscerlo come forma d'arte è un modo per raggiungere questo obiettivo, dato che l'industria ha sistemi di valori più formalizzati".
Arte popolare
Parlando di eccellenza, gli esempi sono infiniti. Nel nord si incontrano i broccati finemente lavorati e i motivi ispirati ai Moghul. Nel Gujarat nascono i Patan Patola ikat, che richiedono una precisione quasi matematica per essere portati a termine. L’Kalamkari dell’Andhra Pradesh non ha nulla da invidiare ad un dipinto su stoffa, la cui trama racconta storie mitologiche e antiche. Nei pressi di Kolkata nascono invece i Pattachitra antica tradizione pittorica del Bengala in cui il tessuto diventa letteralmente una tela per raccontare storie. Una vera e propria forma d’arte popolare, da lunghi anni oggetto degli studi della professoressa Chakraborty. Si tratta di una forma che affonda le sue radici nella tradizione orale e popolare dei cantastorie erranti -un’espressione affascinante e unica di “arte povera”, nata per raccontare storie attraverso immagini e musica. Chakraborty in particolare lavora con uno dei villaggi più rappresentativi del West Bengal, e in modo speciale con le donne cantastorie del villaggio di Naya, nell’area di Pingla: "Per una nazione come l’India che è antica e, al tempo stesso, sempre votata al futuro, è fondamentale preservare queste forme d’arte» spiega. "Si tratta al tempo stesso di arte e artigianato, perché da una parte abbia una tradizione creativa, innovativa e popolare al tempo stesso. Dall’altra, una produzione fatta di dipinti tessuti, ma anche sciarpe, vestiti, vassoi, tazze e molti altri manufatti".
Collectible design e tessuti
Ed è questo un punto: nonostante la complessità, le tradizioni tessili sono spesso state liquidate come semplice “artigianato” perché nate con uno scopo funzionale. L’industrializzazione ha poi trasformato i tessuti indiani in merci da consumo. Ma oggi, in un certo senso, quel processo si sta invertendo, ha spiegato Chaitanya: "Ho un legame forte con la tradizione tessile e l’eccellenza del tessuto indiano, che occupa da sempre un ruolo centrale nel mio lavoro di interior designer".
Arte e artigianato tessile oggi sono legati a doppio filo al mondo del design indiano. A farla da padrone è certo il mondo del fashion design, come ben sa Verma, che grazie ad un celebre progetto online, l’antologia digitale Sari Series, ha documentato i modi di indossare il sari nelle varie regioni dell’India. Oggigiorno, un numero sempre crescente di stilisti indiani riconosciuti a livello internazionale mostrano al mondo che i tessuti indiani non sono solo ornamentali, ma anche risultato di articolare espressioni intellettuali e artistiche. Il passo verso i designer di prodotto è breve, conclude Chaitanya: "Il mondo del collectible design indiano sta vivendo un momento fiorente e potrebbe essere la chiave in grado di colmare, con successo il divario tra artigianato e arte". La speranza, almeno in questo caso, è appena ad un filo.