Intervista a Daniele Lago. “Il futuro è il treno a più motrici”
Il boom del digitale, la pandemia e l’#iorestoacasa, imprenditori ottimisti, designer in crisi e pochi eroi, Daniele Lago racconta la propria visione di un mondo in rapida trasformazione
«Sai come si dice dalle mie parti? Solo quando l’acqua tocca il culo, inizi a nuotare: le crisi sono in grado di portare un grande dono: scatenano una potenza in termini di creatività».
Daniele Lago, messi da parte per un attimo i toni entusiastici, i dati e le cifre di un anno chiuso – nonostante tutto – alla grande, è uno che parla per metafore. Pane al pane, vino al vino.
Lasciata la carriera da pallavolista, ultimo di dieci figli, classe ’72 – il classico ‘giovane’, «uno dei problemi dell’Italia è che dovremmo essere giovani quando realmente lo siamo», CEO & Head of Design di LAGO SpA, ha trasformato l’azienda padovana di famiglia in una realtà internazionale con oltre 200 dipendenti e un fatturato che ha superato i 40 milioni di euro.
«Fammi iniziare con una premessa: il design è un turbine di trasformazione sociale, che comprende anche la cultura digitale e non solo. Me ne sono innamorato – follemente, sottolinea - perché è una disciplina che ti porta ad avere una visione molto tonda del tutto, ha la capacità di dare senso, significato, ragion di esistere alle cose».
Iniziato il lockdown, abbiamo investito in servizi e soluzioni innovative in ambito digitale, come la consulenza digitale e il configuratore online. Le visite al nostro sito hanno superato i 3,5 milioni con una crescita del 40% rispetto al 2019, mentre i contatti, in un anno, sono aumentati dell'85%. Ma in realtà noi eravamo già allenati, eravamo pronti ad ascoltare. È stata un proseguo più accelerato di una tendenza già in corso.
Dopo aver rispettato dieci giorni di religioso silenzio per capire cosa ci stava succedendo, forse anche un po’ di più, abbiamo misurato il perimetro del caos. In questo, il design mi ha insegnato molto, in primis ad ascoltare e non solo a parlare. Sono momenti in cui consiglio grande empatia, quindi devi immergerti nel contesto e capire cosa si sta vivendo.
Abbiamo attivato il nostro network di retail, quindi 400/500 negozi sparsi nel mondo. Siamo partiti dall’Italia, nostro core business, con il nostro sito che faceva da collettore. Abbiamo quindi iniziato ad attivare call digitali. Mettevamo in relazione il consumatore con un progettista, dato che eravamo tutti tra le quattro mura domestiche all’inno dell’#iorestoacasa. Quando poi abbiamo aperto i negozi, c’è stato un rimbalzo dei dati, con + 80% di presenze.
Cado eccome nello sconforto, ma dalla mia ho la forza della squadra, quella del significato. Non lavoro per i soldi, certo anche per quello e per alimentare la Lago del futuro - e sono anche un killer. Ma se c’è qualcosa che devo confessare è la squadra coesa, forte, che abbiamo costruito in tanti anni. Non è più solo Daniele Lago con la sua azienda. Ho una visione: il futuro è il treno a più motrici, non sono mai stato affascinato dall’eroe salvifico.
Se c’è una cosa che ci ha insegnato la pandemia è che dobbiamo organizzare potenze e intelligenze collettive. Quello che credo manchi alla politica è proprio la mancanza di visione. Sai come si dice in Spagna? Per fare una paella davvero buona devi litigare in sette. In questo è fondamentale comprendere l’altro.
Non so se sono un imprenditore, sono una persona che cerca di fare delle cose. Lo dico con umiltà, sono portato a capire quello che posso cambiare, ma anche ciò che non posso cambiare. E come squadra sono portato a evolvere in questo senso, il vero segreto è lasciar perdere ciò che non si può modificare. La cultura, e te lo dice uno che non ha finito neanche le superiori, collega i puntini e costruisce significati, ti porta a cercare quello che sei e il mestiere per cui sei nato. E non si stacca mai dall’umano. Poi, come Paese, ce l’abbiamo nel DNA, dal Rinascimento in avanti. Anche se è arrivato il contemporaneo ad annebbiare tutto.
Diciamo che la pandemia ha fatto emergere problemi preesistenti. Sono convinto che ci sia ancora tanto del buono e ribalto la questione anche sul Salone del Mobile.
Al Salone dobbiamo crederci tutti quanti, perché a volte servono segnali di coraggio, non possiamo pensare alle sfide partendo da ciò che non funziona. Certo, è sempre facile puntare il dito contro i politici, non sono altro che lo specchio di un elettorato. È necessario inondare l’ecosistema di fiducia e ottimismo. È da qui che parte il treno a più motrici, ed è di una potenza sconfinata.
Saremo molto incentrati sul tema della visione futura, sulla circolarità, avremo tante novità di prodotto. Avendo saltato due edizioni, abbiamo lavorato tanto sul generare cose nuove, sugli ambienti del living e della zona notte, e sarà un salone che vivremo come un momento di rinascita. Il Salone è inclusivo, è una attrazione planetaria, dobbiamo mantenere questo approccio. Non dobbiamo pensare solo ai nostri orticelli, anche se siamo diventati degli innovatori clamorosi anche grazie a campanili e parrocchie che hanno fatto emergere una grande competizione. Se in Italia impariamo un po’ di più a fare sistema diventeremo ancora più forti a livello globale.
In questo periodo storico c’è bisogno di lavorare insieme, è fondamentale capire che facciamo parte di un ecosistema design, il cui timbro più autorevole si chiama Salone (ma anche Fuorisalone). Dobbiamo fare attenzione a mantenere alta l’attenzione che deve continuare a essere un evento mondiale che parla culturalmente italiano. Torniamo a usare i polpastrelli, anche perché non ci vuole Einstein per capire che una riunione su Zoom non è come un meeting dal vivo. La visita a uno stand fisico è diversa da una fatta in una piattaforma digitale. C’è bisogno del Salone, per tornare a capire cosa ci emoziona di più.
Di nomi me ne vengono in mente tanti. E se continuassi il discorso che ho iniziato io con Barbara Minetto di Magis?