Claudio Ceroni e Food Court al “supersalone”

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Il co-fondatore di Identità Golose ci parla del potere della convivialità alla vigilia del concept ideato per la ripartenza del Salone del Mobile.Milano

Ci sono anche i donuts e la pizza gourmet, tra gli otto piatti scelti da Identità Golose (IG) per arricchire di un sapore nuovo - letteralmente - questa edizione speciale del Salone. Questi cammei culinari ideati da chef e pasticceri di fama internazionale saranno offerti all'interno del percorso Food Court, che parla di qualità, tradizione, contaminazione, ma anche di innovazione e imprenditoria.
È la prima volta che accade e, non a caso, porta la firma di chi ha sempre saputo anticipare le tendenze di questo settore. Partita infatti come Congresso Internazionale nel 2005, IG è diventata negli anni un hub internazionale di eventi e formazione, una guida online, una piattaforma digitale che fa 200.000 visite al mese. E infine un ristorante - inaugurato nel 2018 in via Romagnosi 3 a Milano - che propone a un pubblico sempre più vasto un concept unico nel suo genere: menù stellati, a prezzi invitanti, che cambiano di settimana in settimana.

Tutto è cominciato dall’intuizione dei fondatori: Paolo Marchi, stimato giornalista enogastronomico, e Claudio Ceroni, imprenditore con all’attivo l’organizzazione di grandi eventi televisivi e la passione per la buona tavola. È proprio quest’ultimo a raccontarcelo. 

 
Negli anni in cui la cultura della cucina di qualità ha subito un'enorme trasformazione, in termini di apertura al grande pubblico e di innovazione, IG ne è diventata lo specchio. Come ci siete riusciti? 

 

Quando Paolo mi ha proposto nel 2004 l’idea del Congresso, ho pensato “bellissimo, ma sarà di una noia mortale”. E invece fin da subito abbiamo realizzato un evento coinvolgente - come succede sempre quando vengono raccontate delle idee e una passione sincera. Ai tempi avevamo solo 18 relatori tra cui i giovani Massimo Bottura e Carlo Cracco. Oggi ne abbiamo circa 145 e IG si è diventata un po’ “la Milano Collezioni della gastronomia”. Il merito di questa continua innovazione va soprattutto a Paolo, che ha avuto il coraggio - ad esempio - di presentare la cucina scandinava di René Redzepi già nella seconda edizione, quando la curiosità del giornalismo enogastronomico non si spingeva oltre i confini francesi. Gli hanno dato del matto ma poi Redzepi ha vinto il 50 Best [la classifica dei 50 migliori ristoranti del mondo, ndr.].

 

Nel 2015 c’è stato il progetto per Expo, che ha segnato un punto di svolta... 

 

Expo era l’occasione giusta per portare il grande pubblico a contatto con la cucina dei grandi chef di cui si parlava da anni. E l'esperienza, mai sperimentata prima, ha dimostrato che il mondo della gastronomia ha una capacità enorme di produrre comunicazione. Durante quei sei mesi, infatti, mentre IG era seconda nei trending topic di Twitter dopo Renzi, abbiamo presentato un turnover di oltre 200 chef e servito oltre 58.000 persone. Seguendo la stessa idea vincente, abbiamo poi inaugurato nel l’Hub Internazionale della Gastronomia di via Romagnosi.  

 

L’apertura al grande pubblico è da intendersi anche in termini di accessibilità, prezzi sostenibili... 

 

Sì perché abbiamo capito che spesso la gente ha paura di avvicinarsi a un certo tipo di ristorazione. Ad esempio c’è il timore di gestire il gesto del vino, che infatti noi proponiamo sempre già abbinato alle portate. Sono elementi di questo genere su cui bisogna fare dei passi in avanti.

Inoltre la piramide della qualità si sta allargando sempre di più. Basti pensare a cos’è diventato negli ultimi anni il mondo della pizza: non si capisce davvero come mai ci siano tanti sushi restaurant stellati e ancora nessuna pizzeria. 

 

La pizza sarà presente anche a Food Court con Renato Bosco. 
 

Lui è uno dei protagonisti di questa evoluzione, ed è stato capace anche di ingegnerizzare il suo prodotto in una collaborazione con Autogrill, il più grande gruppo di ristorazione al mondo. Quando la qualità arriva anche in un posto come questo, che fino a pochi anni fa non ne sentiva l’esigenza perché impegnato a offrire un semplice servizio, significa che i tempi sono veramente cambiati.
 

Che sapore ha questa ripartenza, dopo un anno e mezzo in cui la convivialità è stata fortemente penalizzata dalle varie fasi di lockdown? 

 

Ha detto bene: la penalizzazione della convivialità rappresenta il danno più grande. Non che quello economico sia stato meno importante, intendiamoci, ma c’è di più. I ristoranti infatti sono il luogo principale dove si sviluppano le relazioni, tra clienti ma anche tra chi ci lavora. E questo sarà l’aspetto più difficile da ricostruire perché si sono persi dei talenti, soprattutto giovani, si sono interrotti percorsi di formazione, si sono distrutte squadre affiatate all’interno dei ristoranti. Spero che il progetto del Salone e il Congresso di fine settembre, che non a caso sarà sul tema “lavoro”, segnino un nuovo inizio.

 
Questo periodo però ci ha anche dato stimoli innovativi.  

 

Sicuramente, ma è un po’ presto per fare un bilancio. Certo in futuro ci sarà maggiore elasticità, la cucina di qualità verrà sempre di più declinata dal ristorante stellato, al bistrot e al fast-food e il progetto della Food Court lo testimonia. Probabilmente un anno e mezzo fa molti grandi chef non sarebbero stati pronti per offrire un prodotto così veloce. Invece oggi abbiamo ad esempio una Cristina Bowerman che porterà uno dei piatti che realizza nella sua dark kitchen [una cucina che non ha sbocco in un ristorante, ndr], aperta proprio durante il lockdown. O un Matias Perdomo: il suo “donut alla bolognese” - solo a nominarlo mi fa venire l’acquolina in bocca - racconta una storia anche imprenditoriale che va dal ristorante stellato al chiosco innovativo.

 

Gastronomia e design. Cosa rappresenta la collaborazione con il Salone? 

 

I punti di contatto con il mondo del design sono moltissimi. Si pensi quanto è importante e quanto è indietro l’Italia - ad esempio rispetto all’Inghilterra - dal punto di vista della progettazione degli spazi e degli arredi. Siamo ancora a tre ristoranti su quattro che sbagliano le luci, l’acustica, che non hanno un vero progetto ma si affidano all’amico architetto o peggio ancora il ristoratore fa tutto da solo. Siamo convinti che questa sia una strada molto interessante da percorrere, che può espandersi a tutto il settore dell’ospitalità.

 

Se avesse la possibilità di invitare a cena un personaggio famoso o influente chi inviterebbe e perchè?  

 

Mario Draghi, in qualità di premier, non tanto per capire se sia un appassionato di cucina, che così a occhio non mi sembra abbia le stigmate, ma per aiutarlo a fare un paragone. Se qualcuno parla male di un grande chef francese, per esempio, il giorno dopo Macron ribatte su Le Monde. Così come quando il 50 Best veniva fatto a Londra, il primo ministro si affrettava a ricevere i protagonisti.  
In Italia invece, un settore così importante per il turismo, per l’economia, per l’immagine all’estero, non ha ancora mai avuto l'attenzione che merita fatta eccezione per Expo. E soprattutto non viene visto come un tassello della filiera che va dall'agricoltura all’ospitalità. Ogni tanto si parla di ristoranti come se fossero una cosa a cui si può rinunciare. Certo, se si pensa a una pizza fuori ci si può anche rinunciare, ma se si pensa alla convivialità, alle relazioni e a tutto l’impatto che ne deriva dovremmo riservare all’argomento un’attenzione più seria.

 

https://www.identitagolosemilano.it/  

 

 Claudio Ceroni e Food Court

 Claudio Ceroni and Paolo Marchi, Identità Golose Co-founders

hub internazionale

Hub Internazionale, Gastronomia via Romagnosi 3, Milano. 

Identità Golose Expo 2015

Identità Golose for Expo 2015 

Chef Cristina Bowerman

Chef Cristina Bowerman for supersalone 

Carlo Cracco

Carlo Cracco, at Food Court

Chef Massimo Bottura

Chef Massimo Bottura at Expo 2015 for Identità Golose.

Pizza “doppio crunch”

Pizza “doppio crunch” By Renato Bosco

Salone del mobile Salone del mobile
8 settembre 2021