Gaetano Pesce: “Nessuno è perfetto”
Una grande mostra personale a Shenzhen con interminabili code fuori, progetti sperimentali tra cui un tavolo senza gambe e quell’immutato senso di libertà. Una lunga chiacchierata, da New York, con l’architetto e designer Gaetano Pesce.
Siamo tutti imperfetti, per una ragione o per l’altra. Non c’è nessuna perfezione nel genere umano e lo dimostra la nostra classe politica. L’essere perfetto riguarda soltanto Dio, se esiste. Il Nobody’s perfect è il titolo perfetto non solo per una mostra ma anche per qualsiasi cosa facciamo. Che non siamo perfetti è essenzialmente certo, o no? Poi certo, il titolo l’hanno scelto i cinesi ma è basato sulla sedia creata da me nel 2001 ed è presente in mostra.
Non è pessimismo, è piuttosto riconoscere la realtà, una forma di coscienza. Le dirò di più, è ottimismo perché riconoscere lo stato di fatto ci serve da monito. Non siamo perfetti, cerchiamo di far meglio. C’è, in un certo senso, la volontà a esser migliori.
Mi ha scritto la direttrice del museo per dirmi che sta avendo un enorme successo, posso raccontarle che c’è stato un operatore di un video che aveva chiesto di fare lo spot di un’auto, ma non è nemmeno riuscito a entrare, vista la coda che c’era. Da quando è stata aperta è stata visitata da 10.000 persone.
Molti intellettuali criticano il consumismo, ma in realtà è un pensiero progressista, se si guarda bene, che porta alla curiosità. Consumare vuol dire anche aver letto un libro, o ascoltato una canzone, aver visto una mostra o un concerto. Una cosa che mi piaceva fare, quando viaggiavo, era andare al supermercato. Capivo un sacco di cose, soprattutto il livello culturale. Il consumismo viene criticato dai moralisti e dei moralisti, forse, possiamo farne a meno.
L’importante è che ci sia almeno una sedia, o un tavolo, in grado di spingere avanti la mentalità delle persone. L’ultima opera che ho progettato è un tavolo senza gambe. È questo che dico: cercando e ricercando si arriva all’innovazione. Non c’è altro da fare, se non aiutare il progresso a diventare presente.
Il bilancio non è ancora il tempo di farlo. Perché il mio lavoro continua a essere curioso per diversi aspetti, le cose che ho fatto anni fa sono diverse da quelle che faccio oggi. E poi il lavoro di un creatore deve essere un lavoro non coerente, proprio perché la realtà che ci circonda non lo è. Un tempo non era così, ma oggi i valori valgono per qualche giorno, cambiano, poi tornano e si contraddicono.
Perché provoca la sorpresa, comporta il declinare valori diversi e sorprendenti e quindi come imposizione creativa è utile. L’incoerenza provoca il non riconoscimento di quello che si fa. Se non ci fosse il nome scritto fuori, non si saprebbe che è la mia mostra: ci sono talmente così tante cose diverse e controverse che sarebbe davvero difficile capirlo.
L’architettura, contrariamente a quanto spesso accade, deve interpretare il luogo dove viene eretta. Quindi questo è il futuro dell’architettura, quello di sapere parlare della diversità del mondo. Questo è un traguardo utile che elimina quel formalismo che vediamo spesso. Non ho fatto molti progetti d’architettura perché è talmente sacra e importante che la rispetto. Credo che gli architetti debbano essere più sapienti e meno mercificati.
Il design dovrebbe essere arricchito di una componente che non sia di tipo pratico, o funzionale. La funzionalità deve esistere ma oggi possiamo esprimere quello che abbiamo dentro di noi: ecco il futuro del design. Ha un doppio significato, quello pratico da una parte, filosofico e politico dall’altra. Questa è l’apertura del design verso l’arte, il design garantisce all’arte di essere utile al mondo se evolve verso contenuti che hanno a che fare con la realtà e non con il formalismo.
È un linguaggio dell’arte. Se si arricchisce di una componente significativa come un messaggio politico, religioso o esistenziale allora diventa qualcosa di più complesso e utile al mondo. Perché puoi fare una sedia su cui sederti, ma allo stesso tempo che faccia anche riflettere.
Già allora parlavo di qualcosa che è ancora molto vivo. La condizione delle donne è drammatica, gli uomini sono molto stanchi, hanno brama di potere e sono molto poveri dentro. Mi appare che il design in quel caso abbia fatto un passo in avanti, ancora oggi ha successo perché apre un sipario nuovo, quello del significato. Per un progetto del design anche culturale.
L’Italia ha avuto un momento incredibile, chiamato futurismo, movimento che ha preso quello che era l’industria - la macchina, il rumore, la produzione, di fatto la modernità - l’ha trasformato in arte. Un movimento che è durato anni e che ha preso piede con una serie di graphic designer prima e architetti poi. Teste e progetti davvero interessanti che hanno dato all’Italia una nuova arte: il design.
Dovrebbero esserci delle manovre da parte del governo, valorizzare i propri talenti e imporre alle industrie che una componente del proprio fatturato vada alla ricerca. Ecco, quindi, che si rimetterebbe in moto la creatività.
Assolutamente no. Ritorniamo a quella creatività, il Paese ne ha davvero bisogno.