Domenico Gnoli alla Fondazione Prada

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Exhibition view of Domenico Gnoli, Fondazione Prada Ph Roberto Marossi

Negli spazi milanesi di Fondazione Prada va in scena l’importante mostra dedicata a uno degli artisti italiani più curiosi del dopoguerra: capace sia di raffinate visioni scenografiche che di metafisici dettagli estrapolati dall’universo domestico e trasformati in monumenti del quotidiano…

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Domenico Gnoli Fauteuil N° 2, 1967 and Fondazione Prada Exhibition

Figura del tutto peculiare quella di Domenico Gnoli, in qualche modo magica, capace sia in vita sia oggi, a poco più di cinquant’anni dalla sua morte, di essere continuamente in primo piano e in disparte, attualissimo e antico. Su tali elementi, in apparenza contradditori, si è costruita la ricerca artistica dell’artista nato a Roma nel 1933 e scomparso a New York all’età di soli 37 anni. Eppure, visitando la bella mostra che Fondazione Prada ha appena inaugurato a Milano, si ha l’impressione di osservare il lavoro di un autore che ha vissuto più vite, di una carriera densa, dilatata nel tempo, tutt’altro che fugace come la sua breve vicenda umana potrebbe far supporre. La mostra che è stata concepita da Germano Celant, il leggendario curatore morto soltanto l’anno scorso, offre un’importante occasione per approfondire i diversi livelli, tematici, espressivi e biografici che i visitatori potranno incontrare nei due piani dedicati all’artista. Il percorso inizia con un ricco corpus di lavori, presentati non in una mera successione diacronica ma piuttosto raggruppando i dipinti (raramente esposti insieme in una così ampia selezione) per temi, famiglie: una tassonomia visiva che contempla lo sviluppo nel tempo di soggetti ai quali Gnoli ha dedicato una ricognizione sempre più intima e inedita.

Domenico Gnoli Apple, 1968

Domenico Gnoli Apple, 1968

Figlio d’arte, Gnoli nasce in una famiglia eccentrica che dal nonno poeta, dal padre storico dell’arte e dalla madre ceramista eredita tutte queste istanze e spunti culturali che inevitabilmente formeranno il suo sguardo, e che il giovane artista elaborerà in una capacità quasi innata di utilizzare lo strumento pittorico per entrare nell’essenza delle cose ma soprattutto scoprendo l’estrema modernità nelle radici antiche della tradizione artistica italiana. Lungo le grandi pareti di metallo dell’allestimento nel Podium di Fondazione Prada sono disposte opere che testimoniano l’approccio a un oggetto che per l’artista diventa ogni volta territorio da scoprire, un pianeta dove atterrare gradualmente, penetrando via via nelle sue viscere. Tavoli, poltrone, letti, vasche da bagno: Gnoli che visse quegli anni che guardavano febbrilmente al futuro, a quei razzi lanciati nello spazio che tanto affascinarono gli artisti (come ad esempio Lucio Fontana), rivolge invece la sua attenzione all’esplorazione dello spazio domestico, a quelle piccole cose capaci però di diventare eterne, se a guardarle è un artista carico di quella predisposizione alla metafisica che Gnoli aveva appreso non solo da Morandi, De Chirico e Casorati, ma dalla visitazione delle radici stesse della pittura italiana. È così che la formulazione pittorica di un elemento d’arredo appare dapprima come una forma antica, espressa attraverso tecniche pittoriche che la fanno apparire come un bassorilievo, o immagini “etrusche” come già suggerite da Massimo Campigli. Sono soggetti fortemente materici e in qualche modo scultorei pur nella loro bidimensionalità che nel tempo la sua pittura esprime più nitidamente, avvicinandosi ai soggetti così tanto da reificarli in quella “sconcertante monumentalità”, così come l’ha definita Salvatore Settis nel testo in catalogo.  

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Domenico Gnoli Due dormienti, 1966

Le pieghe geometriche delle tovaglie bianche di un bar diventano quindi gigantesche direttive urbanistiche, lo spazio si annulla e nel dettaglio ingrandito del motivo di una stoffa che riveste una poltrona ci si perde come in un labirintico mondo esotico. C’è, dicevamo, quella riflessione metafisica tutta “di testa”, nel viaggio che Gnoli intraprende nello spazio e nei piccoli oggetti, ma anche una vena ironica che rivela il divertimento dell’artista nell’affrontare quelle inesplorate topografie con uno spirito genuinamente infantile o come se il punto di vista fosse quello di un minuscolo topolino (soggetto che peraltro compare in una delle più belle opere in mostra). La vitalità e l’intuito per questa celebrazione silenziosamente spettacolare del banale, anche se fu espressa da Gnoli in anni coevi all’ascesa della Pop Art americana, è però solo in minima parte riconducibile a quella magnificazione per le cose e le merci tradotte in icone sacre dai vari Oldenburg, Lichtenstein e Warhol; Gnoli fu confortato dal ritorno del figurativo nella scena dell’arte certificato dal New Dada e dalla Pop, da quella passione per l’immagine che come illustratore e creatore di geniali scene per spettacoli teatrali, non aveva mai abbandonato e che rivelano la costante intenzione dell’artista di scoprire con tecniche pittoriche e grafiche soluzioni eterogenee per quel breve ma densissimo primo periodo della sua produzione. Proprio di quel percorso è testimone la sala al piano superiore della mostra che offre una ricchissima documentazione e selezione di schizzi, disegni, pubblicazioni e altri documenti che tratteggiano la sfaccettata carriera di Gnoli, l’artista che ha saputo proiettare cinque secoli di tradizione pittorica italiana in un dettaglio di una cravatta, in una scriminatura o in un bottone che riposa nella sua asola.  

 

 

Domenico Gnoli 

dal 28 ottobre al 27 febbraio 2022 

Fondazione Prada 

Milano  

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Domenico Gnoli Robe verte, 1967

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Domenico Gnoli Coat, 1968

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Domenico Gnoli Red Hair on Blue Dress, 1969

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Domenico Gnoli Curly Red Hair, 1969

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Domenico Gnoli Red Dress Collar, 1969

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Domenico Gnoli Fauteuil N° 2, 1967

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