CfAlive, tutte le strade (dell’arte) portano a Milano

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45°28′01″N 9°11′24″E, courtesy of CfAlive, ph. credits Andrea Rossetti

Sono nati perlopiù tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 i tredici artisti che fanno parte della collettiva in mostra nello spazio Conceptual fine Arts nel cuore di Milano. Un’occasione importante per misurare tramite i lavori degli autori la fisionomia della scena contemporanea milanese e internazionale

Nata nel 2019 come spazio espositivo della piattaforma online CfA, CfAlive è una residenza per gallerie straniere (la prima in Italia nel suo genere) con una doppia vocazione; da una parte vuole presentare le più interessanti gallerie emergenti estere a Milano e dall'altra creare un network tra la comunità artistica milanese e gli spazi internazionali, è dal 2013 che CfA si è impegnata nella pubblicazione di testi critici per approfondire il lavoro degli autori del presente e le loro relazioni con le generazioni precedenti.

È proprio in quest’ambito del progetto CfAlive che ha inaugurato lo scorso 16 dicembre la mostra intitolata 45°28′01″N 9°11′24″E, con opere di Alessandro Agudio, Alessandro Carano, Anna Franceschini, Dario Guccio, Francesco Joao, Lorenza Longhi, Beatrice Marchi, Emanuele Marcuccio, Daniele Milvio, Margherita Raso, Andrea Romano, Giangiacomo Rossetti, Davide Stucchi.

Le coordinate, è pur facile intuirlo se si conosce il lavoro e appunto lo spirito di CfA, sono quelle di Milano città che ha messo in relazione una generazione di artisti, nati tra il 1979 e il 1991, e che rappresenta per la maggior parte di loro il proprio domicilio e la città dov’è avvenuta la loro formazione. La maggior parte degli artisti in mostra hanno frequentato l’Accademia di Belle Arti di Brera e, come già accaduto alla generazione precedente il loro percorso formativo è stato segnato dalle lezioni dell’artista Alberto Garutti, che ha creato un solco riconoscibilissimo nelle pratiche e nelle forme degli artisti in mostra.

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45°28′01″N 9°11′24″E, courtesy of CfAlive, ph. credits Andrea Rossetti

La loro biografia, e il loro percorso è per certi versi parallelo e funzionale nel tratteggiare anche la mappa dei nuovi e recenti spazi e gallerie aperte negli ultimi dieci anni nel capoluogo lombardo e che, a loro volta sono diventati interlocutori di questa scena emergente. Alcuni di questi spazi hanno collaborato al progetto e rappresentano in Italia le nuove gallerie che fanno ricerca e la cui programmazione vale sempre la pena di seguire: la Galleria Federico Vavassori, Fanta Milano, Vistamare, Martina Simeti e Castiglioni Fine Arts.

La mostra, dicevamo, è un tributo a Milano e le opere selezionate per la piccola galleria di Via Rossini raccontano della relazione tra gli artisti e la città come analizzato dal curatore Paolo Baggi nel testo che accompagna il progetto: “come può un'opera d'arte testimoniare un rapporto personale con una città? [..] La reificazione può quindi significare qui dislocazione, esporre un'opera alla propria inattività, lasciare che l'opera parli da sola perché ha tanto da dire sul proprio rapporto con la città. Questo è anche un effetto della relativa autonomia del campo artistico; un campo governato dalle proprie leggi ma fortemente influenzato da ciò che accade al di fuori di esso e da ciò che accade al di fuori è anche filtrato e modellato dalla specifica città di questo campo. A volte è difficile dire se l'opera d'arte sta dicendo qualcosa sulla città o è il contrario?”.

Si può tentare dunque di rispondere a tale interrogativo osservando i 15 lavori esposti che non sono mai esattamente e solamente “sculture”, “quadri” o “installazioni” ma ciascuno di essi presenta tecniche ed elementi di stratificazioni concettuali e formali che li rendono oggetti ed episodi del tutto peculiari, arrivando a generare forme che sono il precipitato di una densa riflessione culturale del rapporto tra individui e spazi.

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45°28′01″N 9°11′24″E, courtesy of CfAlive, ph. credits Andrea Rossetti

È il caso delle opere di Alessandro Agudio (1982), La casalinga di Voghera, ossia lo stereotipo del destinatario ideale del messaggio televisivo, è anche emblema del provincialismo intorno a cui l’opera di Agudio intende ragionare attraverso forme astratte che sono, a loro volta, stereotipi del design del mobile ‘moderno’ che si produce in Brianza, a nord di Milano.

Alessandro Carano (1984) con Aggressivity and Thinking, impiega lo stesso materiale plastico che ricopre la pavimentazione della Linea 1 della metropolitana di Milano, i cui interni sono stati disegnati da Franco Albini e Bob Noorda nel 1963. Originariamente prodotto da Pirelli e molto diffuso negli spazi pubblici il materiale è oggi ancora in commercio, ma prodotto da altre aziende.

Anna Franceschini (1979) presenta il nuovo lavoro Mi Amo, Milano un emblema delle derive narcisistiche ed edonistiche meneghine legate al consumo di cocaina e a una certo modo di essere che diventa quasi una ‘maschera’ popolare.

Dario Guccio (1988) con Nocturne 2021 si ispira all’immaginario del gaming e in particolare dal videogame Dark Souls, concentrandosi sulla nozione di NPC (non-player character), ossia un personaggio non controllato dal giocatore.

Francesco Joao (1987), decostruisce un telaio da pittura regalato post mortem a Joao dall’artista brasiliano Antonio Dias, che a Milano si trasferì nel 1968 e che lì visse fino al 2018.

Lorenza Longhi (1991) Il riferimento a Milano dei due neon qui presentati, già parte di una precedente serie di opere, verte come gran parte del lavoro dell’artista sulla riproduzione manuale e artigianale di prodotti industriali, resi perciò imperfetti, e dunque più umani.

Beatrice Marchi (1986) porta L’animazione Loredana across the Landscape ambientata su uno dei tipici vecchi tram che ancora sono in servizio a Milano e a San Francisco.

Emanuele Marcuccio (1987) è in mostra con l’opera Cometa Nera, guarda al lato oscuro delle festività appena trascorse, rivisitando la tipica forma astratta e ridefinita in nero della decorazione natalizia.

Daniele Milvio (1988) con l’opera Senza titolo mostra una porzione di una cartina del Touring Club Italia dell’area a nord di Frosinone, dove si trova il luogo dove Gino Bonichi andava in villeggiatura. La località è nota come paese delle balie, perché questa era per le donne l’attività più diffusa. L’area è famosa anche per le modelle ciociare, che molti artisti a quell'epoca usavano dipingere.

Margherita Raso (1991) L’opera è stata realizzata nel 2015 a New York, dove l’artista si trovava in quel momento. Il riferimento a Milano è in questo caso nel materiale dell’opera, che è di ghisa. 'Ghisa' com’è noto è anche il soprannome della locale polizia urbana, in uso soprattutto negli anni della contestazione.

Andrea Romano (1984) le due opere in mostra impiegano le celebri carte Varese con le quali a Milano, e nella sua area, si usava foderare i cassetti. Le opere recano due scritte, “Empathy” e “Schadenfreude” (termine tedesco che indica la gioia per le disgrazie altrui).

Giangiacomo Rossetti (1989) L’opera Le prime ore del mattino è un disegno preparatorio per il dipinto intitolato I teppisti di Milano presentato da Rossetti nell’ultima personale da Federico Vavassori. Il dipinto è ambientato in prossimità delle mura del Castello Sforzesco.

Davide Stucchi (1988) con Greek belts, già presentata negli spazi di CfAlive nel febbraio del 2020, fa riferimento all’industria del lusso che caratterizza Milano rappresentandola attraverso la categoria dell’effimero; si tratta infatti di un semplice foglio di pluriball avvolto da una pellicola di acetato.

Opere e artisti che esprimono un linguaggio e un modo di fare arte assai specifico, che nel proiettarsi nel mondo dell’arte internazionale mantengono quella temperatura e quel tono di voce tipico di chi ha fatto di Milano la proprio domicilio o il suo punto di osservazione sul presente.