Il programma Open Talks di Maria Cristina Didero si basa su un approccio centrato sulla persona.

Maria Cristina Didero

“Il design tratta di persone, non di sedie”, dice la curatrice del ricco programma di incontri al Supersalone. E ci racconta la sua idea dietro a un progetto corale e ambizioso.  

“Il design tratta di persone, non di sedie” è da tempo il mantra motivazionale di Maria Cristina Didero, curatrice, consulente e autrice di design. Dai suoi lavori con brand quali Vitra, Fritz Hansen e Fendi alla sua professione di curatrice di mostre su alcuni dei più interessanti designer che calcano la scena attuale – nendo, Snarkitecture e Carlo Massoud, tra i tanti – il suo approccio alla scoperta di storie identificative del design contemporaneo è da sempre centrato sulla persona. Per questo motivo, Didero rappresenta la scelta naturale per condurre il programma Open Talks al Supersalone di quest’anno, un  appassionante mix di conversazioni, lecture e tavole rotonde che si terranno quotidianamente in Fiera. “Quando Stefano [Boeri] mi ha illustrato il concept di questo evento speciale, ne sono rimasta totalmente affascinata,” afferma, parlando del progetto. “Mette al centro il concetto di inclusività, collegare le persone e riportarle in Fiera”.

 

Didero ha riunito un variegato gruppo di presentatori provenienti da diversi campi creativi per riempire il palinsesto dei cinque giorni dell’evento. Questo ospiterà discussioni sull’arte e sul design contemporaneo — presentando conversazioni con il curatore Hans Ulrich Obrist, l’artista Carsten Höller e la curatrice della prossima Biennale di Venezia, Cecilia Alemani — oltre che sulla sostenibilità, compresa una chiacchierata tra Antonio Biella, Direttore Generale di Acqua S. Bernardo, ed il giornalista Edoardo Ceriani sul futuro dell’acqua. Presentatori del calibro degli chef Davide Oldani, Matias Perdomo e Cristina Bowerman si occuperanno del legame tra cibo e creatività, mentre lo storico Manuel Orazi ed il fotografo Paolo Rosselli condivideranno le loro opinioni sul lavoro del grande maestro milanese Gio Ponti. “L’idea era di consentire alle persone che non lavorano nel campo di ascoltare le voci più interessanti del panorama del design, riunite insieme all’interno di una piattaforma creativa internazionale,” afferma Didero riguardo ai principi guida che hanno ispirato l’organizzazione degli eventi.   

 

Abbiamo parlato con Maria Cristina Didero dei suoi piani per il programma Open Talks. 

 

Qual è stato il tuo approccio curatoriale al progetto?  

 

Volevamo riunire tante voci internazionali, tutte con un background diverso. Non volevamo che fossero tutti architetti o designer; volevamo invitare un eterogeneo mix di ospiti. Ad esempio, abbiamo rappresentanti dal mondo della gastronomia, come Davide Oldani, uno degli chef più interessanti del panorama gourmet italiano. Poi abbiamo grandi ospiti come Alejandro Aravena, architetto vincitore del Premio Pritzker ed ex-curatore della Biennale di Venezia. Quindi l’idea è di raccontare una storia di design e creatività da tanti punti di vista diversi. Poi, visto che il format stesso, concepito da Stefano, è aperto a tutti, l’abbiamo chiamato Open Talks.  

 

Parlami di alcuni dei tanti talk che possiamo aspettarci di vedere.  

 

Vi sono tre diversi tipi di incontri. Abbiamo le lecture, abbiamo le interviste, abbiamo quello che chiamiamo The Talks, in pratica delle tavole rotonde, e poi abbiamo ciò che potremmo definire come esperienze — opportunità per la condivisione della conoscenza tra settori. Ad esempio, abbiamo tutta una parte dedicata al connubio tra cibo e design e abbiamo invitato il CEO di Ca’ del Bosco, eccellenza vinicola italiana, per condividere le proprie esperienze ed il proprio know-how.  

 

Per le lecture, abbiamo grandi maestri quali Aravena e Michele De Lucchi, che ci illustreranno il loro approccio alla professione di architetto. Poi abbiamo le interviste, che sono state concepite per far sentire a proprio agio gli ospiti. Ad esempio, abbiamo fatto intervistare Humberto Campana da Cristina Morozzi, che in realtà non è solo una giornalista, ma anche una grande amica di Humberto. Quindi abbiamo pensato che sarebbe stato interessante metterli insieme sul palco e vedere Cristina mentre lo bombarda di domande. Volevamo che fosse una specie di conversazione tra vecchi amici.  

 

Quali sono alcuni degli argomenti che affronti?  

 

Il talk show approfondirà alcuni delle principali sfide che si trova ad affrontare il settore. Sarà estremamente interessante perché avremo un moderatore e due o tre ospiti. Uno dei talk si chiama ‘Who Can Say No To Education?’ (Chi Può Dire di No all’Istruzione?) che secondo noi è un po’ ironico. Ci sarà Anniina Koivu ad intervistare Beatriz Colomina, Professoressa a Princeton, Anthony Dunne del Central St Martins di Londra ed Aric Chen, che attualmente lavora presso il Het Nieuwe Instituut di Rotterdam e che ha insegnato all’Università Tongji di Shanghai. Tutti grandi nomi, ognuno nel proprio campo. Un altro talk è ‘Women Within Institutions’ (Donne all’interno delle Istituzioni) che presenterà tre donne aventi ruoli di rilievo nel mondo istituzionale. Una è Lilli Hollein, che è stata appena nominata Direttrice del MAK, il Museo di Arti Applicate di Vienna. Un’altra è Alexandra Cunningham Cameron dallo Smithsonian di New York e la terza è Tulga Beyerle, Direttrice del Museum für Kunst und Gewerbe di Amburgo. L’idea era di farle intervistare da un uomo, così abbiamo chiamato Tony Chambers, Design Consultant ed ex-Caporedattore della rivista Wallpaper. Poi abbiamo un altro talk che mi piace molto e che si chiama ‘Today’s Radicals’ (Radicali di Oggi) dedicato a designer dall’approccio estremamente radicale. Tra gli ospiti vedremo Philippe Malouin, che ha un approccio molto Brutalista al design, e Formafantasma, una coppia di designer completamente diversi ma, a modo loro, molto radicali. Francesca Molteni fungerà da moderatrice.   

 

Gli ultimi 18 mesi sono stati ovviamente tumultuosi, non solo per quanto riguarda la pandemia, ma anche in termini di un peggioramento dell’emergenza climatica e dei suoi effetti sulla disuguaglianza. Come pensi di affrontare queste problematiche guardandole attraverso la lente del mondo del design?   

 

MCD: Il Fil Rouge della settimana è certamente la sostenibilità. Volevamo ideare un nuovo format adatto a questi nuovi tempi. Ci occupiamo di questo tema nella sezione talks, in particolare coinvolgendo Forestami, un progetto di piantumazione di alberi a Milano sviluppato da Stefano Boeri. Quindi saliranno sul palco grandi esperti nel campo. Questo Fil Rouge pervade l’intero “supersalone”, che tratta di temi quali l’inclusività, la sostenibilità e il tentativo di affrontare la situazione attuale per migliorarla.   

 

Cosa vuoi trasmettere al pubblico con questo progetto?  

 

Il sogno di ogni curatore è di creare un programma dove il pubblico sia completamente in sintonia con le tue idee e apprezzi i pensieri che esponi. Ma la cosa più importante per noi era di dare spazio a voci che fossero interessanti per tutti. Poiché la Fiera sarà aperta al pubblico, tutti avranno l’opportunità di partecipare ai talk, anche coloro che non operano all’interno del settore. Vogliamo che il pubblico possa imparare di più su un tema che è solitamente considerato di nicchia. Il nostro obiettivo era quello di offrire ai visitatori la possibilità di vedere e ascoltare personaggi ai quali altrimenti non avrebbero accesso.  

 

È molto interessante, visto che è da tanto tempo che non abbiamo l’occasione di vedere questo genere di cose di persona.   

 

È vero, ma volevamo anche essere coerenti con i nostri tempi. Avremo alcuni ospiti in collegamento da remoto. Per un anno e mezzo siamo stati costretti a usare Zoom per le nostre riunioni. Allora abbiamo pensato, ‘Perché non prendere il buono da questi tempi incredibili e trasformarlo in una risorsa?’. Ad esempio, Lilli Hollein non si troverà a Milano, ma sarà collegata con noi da remoto da Vienna. All’inizio abbiamo pensato che questo rappresentasse un problema, perché il pubblico deve poterti vedere, ma poi ci siamo resi conto che, dopo un anno e mezzo in cui l’unico modo per vedere e parlare con gli altri è stato via Zoom, avere la possibilità di collegarsi con persone da tutto il mondo è in realtà un vantaggio, non uno svantaggio.  

 

Sembra di vedere un futuro ibrido davanti a noi, dove le esperienze digitali saranno sempre più intrecciate con quelle vissute di persona. Penso che una delle lezioni che ci ha insegnato la pandemia sia che le persone sono diventate più aperte al concetto di accessibilità. 

 

Per me è fondamentale che chiunque desideri collegarsi possa farlo. Volevo trasformare questo limite in una risorsa — e credo che ci siamo riusciti.

6 settembre 2021