Letter From: Yasmeen Lari

architettura, yasmeen lari

Zero Carbon Cultural Centre, Makli, Pakistan

Con l'architetta e attivista pachistana Yasmeen Lari continua la rubrica che dà voce alle più importanti e prestigiose firme dell'architettura internazionale

Oggi tra le mie principali aree d’interesse ci sono la salute delle persone e quella del pianeta, che penso siano profondamente connesse. Ormai da una ventina d’anni mi sento chiamata a prestare la mia formazione di architetto alla giustizia sociale ed ecologica, soprattutto nell’ambito di progetti dedicati alla riabilitazione su larga scala dei migranti climatici. Faccio leva su un mio modello umanitario e umanistico, invece di aderire a quello della beneficenza prevalente nella cultura coloniale internazionale, nel tentativo di contribuire a un vero cambiamento di mentalità. In particolare, permetto alle famiglie in difficoltà di uscire dal classico ciclo vizioso di dipendenza post-disastro, e di adottare nel giro di pochi mesi una cultura di fiducia in se stesse e di autosufficienza. Il mio lavoro dimostra che incoraggiare le persone e seguire i principi della Barefoot Resource Economy – che stimola l’impiego sostenibile di nuove risorse umane, naturali, di comunità e persino di rifiuti a costi bassi e accessibili – non solo è possibile, ma potrebbe aiutare milioni di individui. Il target sarebbero proprio le persone che appartengono alle frange più marginalizzate della società, e che oggi vivono alla base della piramide (BOP). 

Come “Architetto dei più poveri tra i poveri”, dedico il mio lavoro alle popolazioni sfollate, quelle che soffrono per la povertà estrema e che spesso non hanno dimora. Per questo mi sono impegnata a lavorare su strutture in grado di resistere agli eventi climatici e adotto alternative di design che permettono anche agli indigenti di sollevarsi dalla loro condizione di difficoltà. Il mio motto è “Zero Carbon, Zero Cost e anche Zero Donor, per raggiungere la Zero Poverty”. Voglio assicurarmi che tutte le metodologie che progetto siano coerenti con un modello olistico, capace di garantire sicurezza per la vita, sicurezza alimentare e preparazione in caso di calamità. Invece di fare la carità, la mia Barefoot Social Architecture (o BASA) propone principi che favoriscono l’autosufficienza attraverso la condivisione della conoscenza e l’acquisizione di nuove capacità, con strategie a basso impatto tecnologico e ambientale che permettono di valorizzare i materiali sostenibili locali e i progetti ispirati alla tradizione e alla saggezza popolare più antica. 

Con i progetti che ho realizzato per riabilitare decine di migliaia di persone colpite da calamità devastanti, ho dimostrato su ampia scala come anche gli sfollati e i poveri possono diventare autosufficienti e raggiungere una migliore qualità della vita con le proprie forze e utilizzando risorse scarse e mai usate prima. Le strutture a impatto zero incentrate sulle donne e le tecniche di costruzione sostenibile: la pratica di ogni studio avrà un tema specifico. Il mio lavoro – che si rivolge soprattutto ai migranti climatici e alle comunità sfollate in seguito a disastri naturali – mi ha permesso di capire che sono soprattutto le donne e i bambini a soffrire a causa delle calamità. Ho imparato a interagire con le donne sin dai primi anni del mio percorso professionale, a partire dai progetti di edilizia sociale realizzati all’inizio degli anni Settanta per un gruppo di persone particolarmente vulnerabili che abitavano nei tunnel sotto i tombini. Ho intuito che, poiché sono le donne e i bambini a passare più tempo in casa, il coinvolgimento e il punto di vista delle madri era fondamentale per progettare case che avessero senso per loro. 

Quando presentai quel progetto, l’intera comunità fu invitata a partecipare a una grande assemblea pubblica. La prima domanda che mi posero le donne presenti fu: “Se ci mettete in condomini a tre piani, che ne sarà delle nostre galline?”. Risposi che ci sarebbero stati spazi aperti su ogni piano dove far razzolare gli animali e lasciar giocare i bambini. Ispirandomi alle antiche città del Pakistan, avevo previsto terrazze a cielo aperto e cortili in ogni unità abitativa. Nonostante abbiano famiglie numerose, di solito le persone povere hanno poco spazio a disposizione: le terrazze avevano dunque lo scopo di dar loro una zona in più da abitare, ma anche in cui coltivare verdure o allevare galline per un po’ di cibo extra. 

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Zero Carbon Cultural Centre, Makli, Pakistan

Ma è stato quando ho iniziato a lavorare in ambito umanitario che ho capito davvero quanto possa essere importante il ruolo delle donne. Sono state le casalinghe delle zone rurali a diffondere l’innovazione di una particolare stufa in terracotta: da sole ne hanno costruite un paio di centinaia di migliaia, perché quell’oggetto permetteva loro di ottenere rispetto e dignità. E sono sempre le donne a costruire case-monolocale resistenti agli eventi climatici e bagni ecologici, perché sono loro ad averne necessità, e a beneficiare della sicurezza e della privacy che queste sistemazioni comportano. Grazie alla scelta di materiali a impatto zero, reperibili in loco, le donne si sentono particolarmente a loro agio anche nel costruire in prima persona, perché possono fare affidamento sulle proprie capacità e sulla creatività personale per abbellire e personalizzare le strutture. Per me, ognuno degli oggetti così realizzati è il risultato di un processo di co-costruzione, che ha saputo dare autonomia a persone che non avevano mai avuto una voce.   

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Women community, Pakistan

Oggi credo che la chiave per raggiungere la sostenibilità sia decarbonizzare, decarbonizzare, decarbonizzare. Se non abbassiamo la carbon footprint di tutto ciò che facciamo, finiremo per esaurire le risorse del pianeta. Appena iniziamo a sfruttare le risorse naturali disponibili a livello locale, diventa chiaro che adottare uno stile di vita alternativo ci libera da numerose pressioni e cause di stress. Se, come consumatori, esigiamo prodotti che ci aiutano a ridurre l’impatto che causiamo nella vita quotidiana, ecco che all’improvviso diminuiamo anche le spese che dobbiamo sostenere, utilizzando materiali e tecniche che sequestrano CO2 invece di emetterla. Il risultato, probabilmente, è uno stile di vita che ci fa stare bene, perché sappiamo di proteggere le generazioni future. 

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Rifugio di emergenza

Per mantenere la sua rilevanza sociale, la professione dell’architetto oggi deve espandersi in direzioni divergenti. All’inizio avevamo committenti che dettavano il risultato che desideravano, solitamente a loro vantaggio: ma questo tipo di approccio è destinato a scomparire gradualmente con l’aumentare della disparità e delle difficoltà che la gente comune deve affrontare. C’è, per fortuna, la consapevolezza – diffusa soprattutto tra i professionisti più giovani – che il mondo oggi sia cambiato: i disastri causati dal cambiamento climatico, le migrazioni dovute al clima o alle guerre, il riscaldamento globale e l’innalzamento del livello dei mari ormai minacciano la sopravvivenza stessa della nostra specie. Gli architetti devono dimostrare l’ingegno e la capacità di innovare necessari per affrontare questioni che le generazioni passate potevano solo immaginare. La sostenibilità, la riduzione dell’impronta di carbonio, la disponibilità di massa di case a prezzi accessibili e l’importanza delle tecniche carbon-neutral assumeranno un ruolo centrale nel processo di progettazione. Gli architetti, con la loro formazione in design creativo, devono rimanere in prima linea per escogitare soluzioni sostenibili che massimizzino il potenziale delle persone e del contesto in cui vivono.  

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