Eva Feldkamp e “la responsabilità del design”

All in Awe, Peterborough Pop-Up, salone milano

All in Awe, Peterborough Pop-Up, photo Carlos Jimenez

Consulente e strategist, Eva Feldkamp è anche la fondatrice e direttrice di All in Awe, un'impresa sociale che ruota attorno a una rete globale di professionisti della creatività

Dopo aver passato anni e anni nel campo del design, gli ultimi a capo del team di interior design del Design Research Studio di Tom Dixon, Eva Feldkamp decide di mollare tutto e dedicarsi a progetti umanitari e sociali. Nel 2021 fonda All in Awe, una piattaforma che dà a enti di beneficenza e organizzazioni no profit la possibilità di lavorare con professionisti creativi senza le tariffe delle grandi agenzie. Durante la 60esima edizione del Salone del Mobile di Milano, la designer ha partecipato alla talk tenuta da Maria Cristina Didero, “Sustainability: three different episodes”. Da Londra, entusiasmo e buon amore contagioso. 

Una carriera fantastica lasciata per seguire un progetto che fa bene alla comunità. Ti hanno definito coraggiosa. Cosa ne pensi?

La gente me lo ripete in continuazione, ma non credo di esserlo. Non sono “Madre Coraggio”, voglio solo fare qualcosa, cambiare il design, insieme alle persone. Di solito è un tentativo che fai per conto tuo e spesso cerchi chi lo faccia con te.

 

eva feldkamp, salone milano

Eva Feldkamp, photo Carlos Jimenez

Tu hai cambiato lavoro, sei stata anche generosa a creare All in Awe.

Forse una ragione sta nel fatto che mi piace sperimentare, provare cose nuove. Mi piace quando c’è un’opportunità e si può fare un cambiamento. Fare qualcosa di meglio, quando tutti quanti sono coinvolti. Non voglio aspettare che lo faccia qualcun altro, mi piace provare a capire se funziona, questa è sempre stata la chiave: poter fare qualcosa per cambiare. È un duro lavoro, ma qualcuno dovrà pur farlo. No? E se non lo faccio io per prima, chi può farlo. Se aspettiamo che sia l’altro a cominciare, il cambiamento non avverrà mai. È una questione anche di responsabilità.

 

Come è nata la piattaforma All in Awe? Come hai scelto di avviare il progetto?

Lavoravo nel mondo del design da più di dieci anni in diversi studi e avevo già iniziato a far volontariato nel mio tempo privato. Ho realizzato quante similitudini ci siano con noi che lavoriamo nel mondo del design. Avevo bisogno di incontrare persone che fossero diverse da me, volevo espormi e vivere nel reale - spesso in questo mondo molto ha a che fare con il denaro, il lusso, le differenti opportunità. Volevo avere molta più vita nelle mie giornate. Solo andando al supermarket mi accorgevo che c’erano altre persone al mondo, volevo connettermi di più con loro. Questo è stato il momento iniziale, il primo pensiero, quando ho iniziato a fare volontariato. Da lì poi ho avuto la spinta per avviare il progetto. Ho quindi iniziato queste attività anche nel quartiere, ho sempre provato a capire come usare di più queste qualità nel mondo del design, ma non riuscivo a capire come collegare i due mondi.

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All in Awe, Peterborough Pop-Up, photo Max Creasy

C’è stata una scintilla che ha fatto nascere tutto?

La ragione per cui ho deciso di mollare è stata prima di tutto il fatto che avevo lavorato abbastanza in questo settore. In più, lavorando per Tom Dixon avevo capito quanto impatto avessero le decisioni di un leader nei confronti degli altri, questo ha delle conseguenze sull’uso dei materiali e sulla sostenibilità, se lavori sullo sviluppo di grandi progetti ti accorgi quanto una piccola decisione possa cambiare di molto la vita degli altri.

 

Come sta andando?

È una startup no profit, quindi come tutte le startup ci sono up e down, anche se ammetto che per noi ci sono molti up. È molto divertente. Per ora, che sta funzionando da un anno e mezzo, molte associazioni di beneficenza ci stanno raccomandando per trovare il miglior design. Resta l’idea di essere una piattaforma dove sia no profit che designer possano iscriversi e scegliere di fare un progetto con noi come consulenti.

chair, all in awe, salone milano

All in Awe, Chair making, photo Max Creasy

Come scegliete i designer?

Quello che facciamo di solito è dire che tipo di creativi ci servono. Poi loro si iscrivono, mandano il portfolio. Ci comunicano le loro tariffe e applicano uno sconto proprio perché si tratta di associazioni no profit. Ci sono alcuni designer e studi che ci dicono di aver guadagnato abbastanza e quindi lo fanno a titolo gratuito, sono felici di dare una mano. Dipende comunque dal progetto. Qualcuno partecipa per un paio di riunioni, chi per un piccolo progetto, dipende anche dalla durata. C’è molto altruismo.

 

Quanto conta la politica per cambiare le cose?

Facciamo tanti progetti con l’amministrazione pubblica, credo che la politica sia strettamente legata al cambiamento della situazione. Poi lavoriamo localmente, l’associazione non poteva che essere nata qui in Gran Bretagna, ma abbiamo designer che lavorano in Europa, in Usa, Giappone e Australia. Stranamente nessun italiano, per ora.

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All in Awe, Peterborough Pop-Up, photo Max Creasy

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All in Awe, Participatory City, photo Sarena Shetty

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All in Awe, Chair making, photo Max Creasy

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TALK - Sustainability: three different episodes

28 dicembre 2022