Aric Chen: riportiamo i giovani designer al centro
Per il direttore del Het Nieuwe Instutuut di Rotterdam abbiamo finito il tempo: dobbiamo collaudare nuovi approcci e nuove soluzioni per un mondo che è mutato. Le istituzioni culturali sono il luogo ideale per questa prova sul campo. E gli studenti, con il loro modo multidisciplinare di vedere le cose, siano d’ispirazione anche per l’industria
“Il design sta cambiando come il modo sta cambiando. La formazione, la ricerca sono al centro di questo mutamento”. Aric Chen, già direttore curatoriale di Design Miami, è il direttore generale e artistico dell’Het Nieuwe Instutuut di Rotterdam, istituzione culturale dedicata ad architettura, design e cultura digitale. Nella sua visione, Chen considera i giovani il motore dell’innovazione. E il loro modo di vedere le cose, la chiave per la rivoluzione di cui abbiamo bisogno.
Il design ha sempre risposto alle preoccupazioni e alle domande della contemporaneità. Quello che cambia sono le domande, e soprattutto gli approcci. Quali sono i confini delle discipline? Non è una grande preoccupazione per gli studenti. Sono più a loro agio a pensare in modo multidisciplinare o addirittura non-disciplinare. Lo trovo molto incoraggiante perché le domande e i problemi che affrontiamo oggi sono diversi da quelli che abbiamo incontrato ieri. La tecnologia ha reso il mondo complesso: non ci sono soluzioni semplici. La struttura delle discipline che è stata costruita forse non è utile come un tempo.
Nuovi materiali legati all’ecologia, cambiamento climatico, divisioni sociali, uguaglianza, giustizia, inclusione. E poi anche il ripensamento dei nostri modelli di produzione e consumo. A monte dei diversi problemi che affrontiamo, sia dal punto di vista ecologico che sociale, molto dipende da come la produzione e il consumo sono strutturati oggi. Vedere che i giovani non danno niente per scontato è anche questo incoraggiate.
Assolutamente sì. Ed è bello vedere che qui al centro del “supersalone” gli studenti hanno così tanto spazio (con la mostra The Lost Graduation Show, ndr). Penso che la pandemia abbia accelerato fenomeni già in atto e ci abbia obbligato a cambiamenti che erano già necessari. Credo che l’industria del design abbia sperimentato questa scossa e ne possa trarre beneficio, concretizzando qualche trasformazione di cui forse avevamo bisogno. Per esempio: il modo di organizzare gli eventi, che diventano forme di incontro più ibride. Il “supersalone” quest’anno è davvero qualcosa di nuovo, fresco: senza grossi megastand, ma più focalizzato, attento, esigente. Questo non è male. E prevedo cambiamenti positivi anche in altri campi, nel business, nell’educazione, nelle istituzioni culturali tra due anni o anche meno.
Il punto di forza dell’istituto è mettere in discussione e ripensare le pratiche già esistenti. A partire dall’archivio, possiamo rivedere il passato o riflettere sul presente e sul futuro e possiamo farlo in un modo in cui la teoria sia più vicina alla pratica. La riflessione, la ricerca, la teoria sono possibilità affascinanti, ma stiamo finendo il tempo. Non possiamo più solamente teorizzare in astratto. Penso che un’istituzione culturale debba ricoprire un ruolo importante: siamo il campo di prova della riflessione per mettere in atto scenari teorici e sperimentare diversi approcci, senza paura del fallimento. Per noi per altri, che possano imparare.
Tenete duro. La mia generazione ha perso molte opportunità per apportare quei cambiamenti che sono necessari. Dà energia e speranza vedere come pensano i giovani. Come sempre, il futuro è nelle loro mani, anche se questi sono stati tempi difficili. Ma spesso è dai momenti di crisi che vediamo emergere grandi cose.