Daan Roosegaarde: l’attivista dell’innovazione e della tecnologia

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Gates of Light

“Quello che sappiamo è che non c’è via di ritorno. Se non investiamo in nuove idee moriremo”. Con questa last call, una delle voci creative più forti ci racconta del suo passato e, ancor più, del suo futuro.

È uno dei leader globali del World Economic Forum, nonché membro del NASA Innovation Team, e per le riviste Forbes e Wired tra gli innovatori contemporanei. E anche Artist of the Year 2016 nei Paesi Bassi. Con un master in architettura (al Berlage Institute di Rotterdam) non si definisce architetto, ma artista, designer, inventore, creativo smart. Afferma, tuttavia, che “è strano che quando si parla di sfide globali, gli architetti non facciano mai parte della discussione”. Lui invece, classe 1979, con studio a Rotterdam dal 2007, e recentemente anche a Shanghai, è presente, a modo suo, con la sua arte tecnologica, le sue idee audaci e innovative. Dall’Urban Sun, appena inaugurato a Rotterdam, che sanifica dal coronavirus lo spazio pubblico illuminato, a Grow, omaggio all’agricoltura attraverso le nuove tecnologie ottiche, allo Smog Free Tower, l’edifico mangia-smog a Pechino, al Van Gogh Path, la pista ciclabile luminosa a ricarica solare a Neunen, al Gates of Light sulla diga di Afsluitdijk, installazione che si illumina solo con la luce riflessa dei fari delle auto, il suo lavoro è velocizzare il processo di diffusione di questo genere di progetti sociali per tentare di salvare il pianeta. “Quello che sappiamo è che non c’è via di ritorno. Se non investiamo in nuove idee moriremo”. La sua last call. Sempre proiettato verso il futuro, segue il dogma secondo il quale la tecnologia è la leva della poesia. Il successo dei suoi progetti ne è la conferma più immediata. Il suo mantra? Schoonheid, dal duplice significato di “bellezza” e “pulito”.  

Lei ha dichiarato che se si vuole innovare le domande devono partire da noi stessi e non attenderle dagli altri. Quando lo ha capito? E quali sono state le prime che ha affrontato?

Io non stavo mai in casa nemmeno da ragazzo. Ero sempre fuori, a giocare con la natura, a costruire capanne sugli alberi. Si crea per trovare un senso, per capire il mondo intorno a noi – mi riferisco a quell’interrogarsi. Penso che sia iniziato così, ma anche 5-6 anni fa, mentre guardavo dalla mia finestra a Pechino: c’erano delle belle giornate in cui riuscivo a vedere la città e delle brutte giornate in cui c’era molto smog e non riuscivo letteralmente a vedere l’altro lato della strada. Mi sono chiesto come avrei potuto progettare con l’inquinamento o come avrei potuto mostrare la bellezza dell’aria pulita. Penso che il concetto di interrogarsi sulla realtà e cercare di capirla e crearla, progettarla, relazionarsi con essa, con se stessi, ma anche con il mondo intorno a noi – questa è l’essenza del design per me.

Acqua, energia e aria pura sono i suoi valori del futuro. Tutto quello che si progetta dovrebbe contenerli. Come sarà il mondo per le prossime generazioni se si seguirà questa strada?

Penso che arriverà di sicuro un momento in cui avremo valori diversi e la pandemia ha mostrato che si può avere tutto il denaro del mondo, ma se si è malati o se non si possono incontrare gli amici, non si può essere felici. Penso che la vera bellezza, il vero lusso non sia una borsa di Louis Vuitton o una Ferrari, ma la consapevolezza di avere aria pulita, acqua limpida o energia pulita. Ho 41 anni, anche la generazione più giovane e i brand sostengono questo pensiero, quindi penso che farà parte del nostro nuovo modo di vivere di ‘default’, del nostro nuovo standard. Penso anche che il ruolo della tecnologia sia davvero importante. Attualmente confidiamo ai monitor dei computer le nostre speranze, i nostri sogni, i nostri desideri, e che cosa otteniamo in cambio? Un “like” – non è un buon affare, quindi rinegozieremo il nostro contratto con i computer, con i macchinari, per cui non sarà solo George Orwell a dominarci mentre noi lo alimentiamo, ma sarà piuttosto Leonardo da Vinci, nel qual caso la tecnologia servirà a informare, nutrire, suggerire, esplorare. Insomma, penso si tratti di spostare la scala di valori e cambiare il tipo di controllo.

I suoi lavori, a partire dall’ultimo Urban Sun, sono una “call to action”. Come reagisce il grande pubblico alle sue opere? Secondo le sue aspettative?

Penso che i progetti non facciano altro che suscitare curiosità. Penso sia veramente importante che la gente sia curiosa nei confronti dell’arte, non solo spaventata, o anestetizzata, o ammutolita, perché il futuro è molto interessante. Se non possiamo immaginarlo non saremo in grado nemmeno di crearlo. Questo è quello che mi manca nel mondo di oggi. Abbiamo paura, proviamo rabbia, rimaniamo in silenzio, in attesa, ma non siamo curiosi; raramente sento parlare di visioni del futuro oggigiorno – e questo è piuttosto strano. Negli anni ‘60 e ‘70 avevamo Archigram, Superstudio, siamo andati sulla luna, avevamo I Pronipoti come cartoni animati, volavamo sul Concorde, eravamo curiosi del futuro, perciò penso che attraverso un progetto posso mostrare la bellezza di un possibile futuro sostenibile e risvegliare la curiosità. Penso sia questo il lavoro da fare e lei ha ragione, a volte ci occupiamo degli interni, anche se da ragazzo mi piaceva stare sempre fuori, giocare sempre all’aria aperta, non all’interno, quindi ci piace stare dentro, ma penso che fuori ci si possa relazionare di più con la natura, la pioggia, i venti, con la gente che non si aspetta queste cose, per questo amiamo gli spazi pubblici.

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Urban Sun

Le piacerebbe immaginare di progettare arredi o lampade? Come li penserebbe? E del design cosa ci dice e che ruolo dovrebbe avere? È mai stato al Salone del Mobile?

Sono sempre stato un po’ sorpreso del fatto che il mondo del design è così concentrato sugli oggetti piuttosto che sulle esperienze e le atmosfere. Naturalmente è a causa del mondo dell’industria, ma con il dovuto rispetto penso che il design sia diventato molto di più e anche il Salone del Mobile sta cambiando questo aspetto. Una volta abbiamo disegnato una sedia, che si basava su un’esperienza che ho provato molte volte quando fai un’innovazione: ci sono sempre persone molto positive che come te, rappresentano un sostegno, delle persone che ci credono, ma c’è anche un piccolo gruppo che dice: è possibile, è permesso? Quali sono le due parole più frequenti che la gente usa quando si presentano delle nuove idee? Come iniziano la frase? “Sì, ma…” – così abbiamo disegnato la sedia Yes But, è una normale sedia di Friso Kramer, un designer olandese, ma l’abbiamo migliorata, dotandola di un dispositivo di riconoscimento vocale che si trova sotto di essa, e nel momento in cui ci si siede e si pronunciano quelle due orribili parole che demoliscono, si riceve una piccola, ma abbastanza intensa, scossa sulla schiena. Ci sono una versione cinese e una inglese, ora stiamo lavorando a quella italiana. Penso sia l’unica sedia che abbiamo progettato. È importante discostarsi dal sì ma e passare invece a e ora? Mi rattrista un po’ che, anche se per delle buone ragioni, il Salone abbia rimandato l’evento, perché penso che forse quello che si sarebbe dovuto fare e dire: “Ok ragazzi e ragazze, mondo del design, abbiamo una grande sfida davanti a noi che si chiama COVID-19”. Utilizziamo l’esperienza, le idee, il rapporto con il mondo dell’industria e della scienza per realizzare qualcosa, per progettare la nostra nuova normalità, far emergere nuove proposte e fare una mostra su questo o, ancora meglio, realizzare quelle idee in modo da avere degli assembramenti pubblici più sicuri o migliori. Penso che sia strano che il mondo del design sia stato in silenzio su questo aspetto, il nostro futuro viene deciso dagli esperti di virus, dai governi, si stanno spendendo miliardi di euro, i miei studenti dicono che il nostro futuro è congelato e silenzioso, è muto, ma è una sfida per il design. Dobbiamo convivere con il virus, dobbiamo rinegoziare e riprogettare il nostro rapporto con il paesaggio, fra di noi, quindi penso che il mondo del design possa decisamente essere più proattivo e assumere un ruolo in quello che vogliamo sia il nostro futuro. Posso essere sincero e dire che mi manca un po’ tutto ciò in questo momento? Penso che sarebbe veramente interessante farlo in occasione del Salone. Non abbiamo una risposta per tutto, ma abbiamo delle proposte come l’Urban Sun che abbiamo appena lanciato.

Ci piacerebbe portare Urban Sun a Milano, al Salone, ma lo vedrei anche come una piattaforma, un richiamo all’azione per chiedere ad altri designers quali sono le loro idee riguardo alla ricerca di una nuova armonia per progettare la nostra nuova normalità. Penso che sarà una mostra affascinante, le persone non vedono l’ora, c’è una tale voglia di qualcosa di diverso. Il nostro telefono ha squillato senza sosta, da quando l’abbiamo lanciato, quindi continuiamo a progettare la nostra nuova realtà! Urban Sun proietta un grande cerchio di questa luce UVC distante negli spazi pubblici, ripulendoli dal coronavirus. Agisce come ulteriore livello di protezione rispetto alle attuali regole del governo. Urban Sun punta a ispirare speranza.

Ecco perché dedichiamo molto tempo alla ricerca, alla scienza e l’abbiamo sostenuta. La fonte di luce distante UVC ‘Urban Sun’ viene misurata e calibrata dall’Istituto Nazionale Olandese di Metrologia VSL. Il progetto Urban Sun soddisfa gli standard di sicurezza dell’International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection (ICNIRP) ed è sostenuto dal Presidente olandese del Council of the Public Health & Society Board. Quindi, c’è davvero un gruppo di persone che dicono che questa sia una buona idea, non semplicemente una trovata pubblicitaria, le novità sono super sensibili, è vero, è un argomento delicato e quindi ci siamo chiesti anche perché lo stavamo facendo. Sto usando il mio tempo e il mio denaro personale – non potevamo non farlo e aspettare, ma era nella mia testa – dovevo solo tirarlo fuori e sono contento di averlo fatto.

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Urban Sun

Lei è un visionario che non ama parlare di utopia, ma di protopia. Ci può spiegare meglio cosa intende?

Non sappiamo come sarà il futuro, voi non lo sapete, io non lo so, non lo sappiamo, nessuno lo sa, ma sappiamo una cosa: se non investiamo abbastanza in nuove idee moriremo, affogheremo. È questa la protopia, il prototipo passo dopo passo, imparando, migliorando, fallendo. L’utopia è qualcosa di fisso, come un arcobaleno nel cielo, non riusciremo mai a raggiungerlo, e l’utopia ha fallito molte volte: Biosphere, Arcosanti, Archigram, Frank Lloyd Wright, Superstudio, sono state esperienze stupende e avevano i loro strumenti, ma penso che oggi si debba essere più pragmatici. Siamo consapevoli che c’è abbastanza simbolismo e stimolazione, ma abbiamo bisogno di soluzioni vere e di azioni concrete, il tempo scorre, il mondo è in fiamme, la protopia è questa: dire OK, non sappiamo come o cosa né dove, ma stiamo cercando e stiamo spingendo, stiamo imparando, stiamo andando a tentoni passo dopo passo. Protopia è un termine coniato da Kevin Kelly che è stato co-fondatore della rivista Wired molti anni fa, quasi 20-25 anni fa, ma ha sempre avuto un certo effetto su di me, quindi ho iniziato ad adottarlo anche perché è un termine che esprime apertura, Utopia è qualcosa che esprime chiusura – puoi guardare e basta. Protopia è qualcosa di aperto, è collaborazione, è forma pulita, e penso che questo sia il nuovo. Per Urban Sun ho fatto più di 320 chiamate su Zoom con scienziati ed esperti in tutto il mondo. Si tratta davvero di imparare a collaborare.

La definiscono il poeta della tecnologia – penso ai suoi aquiloni intelligenti che creano energia verde mentre ruotano nel vento e si illuminano col buio – ma è anche l’artefice di importanti progetti sociali ed ecosostenibili. Come convive il tutto?

È come quando si sente un sapore in bocca, non si conoscono gli ingredienti, si inizia a cucinare e alla fine si ottiene un dessert che merita una stella Michelin che si può condividere. Insomma, si è spinti dalle idee, si è spinti dalla curiosità e dall’ingenuo pensiero che creando e progettando qualcosa si possa migliorare la vita. Questo è il tipo di filo comune, ma ogni volta è diverso. È una conversazione differente, un contesto differente, un cliente differente e un’ossessione differente. Quindi, si inizia con l’avere un focus molto forte, un punto molto fermo all’orizzonte, ti concentri su ‘come migliorare il mondo’, ma per arrivare a tale obiettivo bisogna essere molto flessibili e adattabili. E alla fine ha un suo senso.

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Smog Free Tower

Chi è Daan come persona, al di là del suo ruolo di artista, creativo, inventore, celebrità?

Se si eliminano tutte queste cose, rimangono solo quattro ore di sonno, grazie al cielo, ho i miei pochi momenti in cui faccio immersioni notturne in Asia. Mi piace tanto perché c’è il plancton che emette la luce. Sei in un mondo dove non hai controllo, sei fuori dal controllo. Mi piace essere presente perché mi piace il controllo, ogni designer è una sorta di ‘control freak’, ma è stupendo non avere tutto sotto controllo, per questo mi piace immergermi sott’acqua. Molte cose nella mia vita sono guidate dall’ispirazione ma anche dalle frustrazioni – guardi il mondo e non lo afferri, non lo capisci, sei confuso, ti chiedi perché facciamo quello che facciamo, quindi c’è una piccola parte di Daan che non è legata al lavoro, ma la maggior parte del tempo si tratta di passare un’incredibile quantità di tempo, amore ed energia a far sì che questi tipi di progetti si realizzino. È un po’ un pacchetto completo, non molta vita sociale, niente spumante in giardino ogni sera ma, chissà, magari un giorno imparerò.

Penso che il ruolo del design e della creatività sia il nostro vero capitale per il futuro, visto che le macchine stanno prendendo il sopravvento su molte competenze dell’uomo – sulla produzione, sulla guida dei taxi e sulla raccolta dei rifiuti – perciò penso che sia anche molto importante affermare che il pensiero creativo e la creatività sono il nostro vero capitale, e i designer sono davvero bravi in questo. Penso che abbiamo un’ottima occupazione a prova di futuro, la disciplina, ma facciamo di più!

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Gates of Light

9 luglio 2021