Noma 2.0 di Copenaghen: una storia d’amore tra haute cuisine e design

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Noma 2.0, Studio BIG, ph. Rasmus Hjortshoj & BIG – Bjarke Ingels

Per cinque volte giudicato il migliore del mondo, il ristorante propone un viaggio sensoriale a 360°. A partire da architettura e arredi

“Bisogna andarci almeno una volta nella vita”, dice chi ci è stato. Il Noma 2.0 di Copenaghen dello chef di discendenza albanese René Redzepi, tre stelle Michelin, propone uno straordinario menu su tre stagioni, fatto di sperimentazione e sensorialità. E ha da sempre avuto una stretta connessione con il mondo del design: due mondi paralleli con la stessa filosofia di creatività, ricerca e coraggio.

La storia del Noma non è sempre stata felice: aperto nel 2004 in un magazzino del 1766 sull’isola artificiale di Christianshavn, a Copenaghen, nel 2013 dovette chiudere perché 63 suoi clienti ebbero un’intossicazione alimentare, dopo che già nel 2010, 2011 e 2012 la rivista Restaurant l’avevo incluso nella classifica The World’s 50 Best Restaurants. Redzepi racconta la storia nel docu-film Noma. My Perfect Storm di Pierre Deschamps. Anche allora, il progetto  di interior design era stato affidato allo studio danese Space Copenaghen: tonalità nere e grigie a sostituire quelle marroni, tavoli e sedie del brand Stellar Works con mantelli di pelliccia appoggiati sulle sedute, materiali organici come legno, pietra pelle, ottone e lino che invecchiano magnificamente nel tempo.

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Noma, Space Copenaghen, photo courtesy

Il progetto del Noma Food Lab, del 2012, collegato al ristorante era stato affidato all’unità di innovazione dello studio 3XN, la GXN, in cui il design sperimentale si abbinava alla gastronomia di Redzepi: vennero creati quattro contenitori centrali multifunzione, ciascuno composto da oltre 500 cubi di legno e mobili dalle forme organiche.

Dopo una pausa caratterizzata dall’apertura di ristoranti pop-up a Londra, Tokyo, Sydney e Tulum, dove Redzepi proponeva piatti studiati a partire dagli ingredienti locali, nel 2014 trova una location ispirazionale a Copenaghen: mezzo ettaro confinante con il quartiere di Christiania, famoso per la comunità hippie e anarchica che negli anni 70 fondò una sorta di comunità autogovernata. Inaugurato nel 2018, è frutto dell’ambizioso progetto dello studio BIG. Il concept consiste in 11 ambienti separati ma collegati, ognuno con una sua funzione (ingresso, lounge, barbecue, selezione vini) ma tutti orbitanti attorno alla cucina. Ha spiegato Bjarke Ingels, socio fondatore dello studio BIG, come i valori della cucina del ristorante non siano lontani da quelli dello studio, improntati cioè alla creatività e a una “sostenibilità edonistica”, ovvero all’idea che la città più sostenibile è anche la città più piacevole in cui vivere.

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Noma Foodlab, 3XN, ph. Adam Mørk

Gli interni sono opera dello Studio David Thulstrup il cui livello di “crudezza creativa che ritrae le cose con onestà ma anche freschezza e lungimiranza” ha conquistato lo chef. Ogni edificio è realizzato in un unico materiale, legno o mattoni. L’architettura interna doveva fare eco ai materiali esterni. Il rovere è al centro della scena nella sala da pranzo principale di 40 coperti con pareti che sembrano cataste di legno e un bancone costruito con una trave di 200 anni annerita naturalmente trovata nel vicino porto. La sala da pranzo privata ha invece travi a vista in abete di Douglas oliato bianco che contrasta con l’esterno in pino carbonizzato. Per la zona lounge, infine, Thulstrup ha scelto mattoni color crema per evocare le linee pulite e moderne dello stile danese degli anni 70.

Nel rispetto del desiderio di Redzepi che tutto fosse fatto a mano e duraturo nel tempo, ecco la sedia Arv progettata in collaborazione con lo chef e realizzata da Brdr o la Krueger: una versione moderna di una seduta tradizionale in rovere e corda di carta intrecciata. Un grande lucernario e una serie di finestre scorrevoli rivelano il permagarden permettendo agli ospiti di essere immersi nel fluire delle stagioni e rendendo l’ambiente naturale parte integrante dell’esperienza culinaria. All’esterno, tre serre sono adibite a giardino, cucina di prova e panetteria. La sperimentazione non si è mai fermata alla disposizione degli ambienti o degli arredi: è del 2014 il progetto Shellware, ceramiche concettuali da argilla ricavata da conchiglie in polvere del Natural Material Studio della designer Bonnie Hvillum in collaborazione con il ceramista Esban Kaldahl e nell’attuale Noma 2.0 campeggiano tre vasi simili a rocce scolpiti in cemento pigmentato solido dai designer Frederik Nystrup-Larsen e Oliver Sundquist.

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Noma 2.0, Studio BIG, ph. Rasmus Hjortshoj & BIG – Bjarke Ingels

Infine, è di design anche Popl, un ristorante che serve hamburger, patatine e spuntini leggeri, spin-off del Noma, progetto di interior design dello studio Spacon & X che prende spunto dagli Izakaya, locali giapponesi informali dove si beve. Incentrato sui materiali naturali, il progetto è realizzato in colori caldi che contrastano con la struttura in cemento armato dell’edificio; i pannelli del controsoffitto acustico sono rivestiti di fiori di campo secchi e compressi; i punti luce sono di carta e opere d’arte sono sparse nel locale.

Tavoli, sedie, sgabelli, panche e appendiabiti realizzati su misura dal brand e15 mostrano i giunti di costruzione in un mix di tradizioni artigiane nordiche, giapponesi e americane, in modo che “ogni angolo racconti una storia”, ha concluso Malene Hvidt, architetto e partner di Spacon & X.

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Noma 2.0, Studio David Thulstrup, ph. Irina Boersma

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Vasi Mater, FrederickNystrup-Larsen e Oliver Sundquist, photo courtesy

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Popl, Spacon & X, photo courtesy

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Noma 2.0, Studio BIG, ph. Rasmus Hjortshoj & BIG – Bjarke Ingels

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