Essere Marva Griffin
Una chiacchierata con Marva Griffin Wilshire, la talent scout del Salone del Mobile, venezuelana d’origine ma milanese d’adozione, alla ricerca del talento.
Sulla sua scrivania, nell’ufficio a due passi dal Castello sforzesco, campeggia la lunga lista di appuntamenti quotidiani. Mail da inviare, telefonate a cui rispondere, riunioni su zoom a cui presenziare, voli da prendere e giurie di cui far parte. Accanto al computer spiccano, poi, pile di libri, fotografie, premi di design e, incorniciata e in bella vista, sul muro, la mappa del primo SaloneSatellite: immaginato, desiderato e lanciato da lei nel 1998.
Conservo un background di esperienze, è da quando ho vent’anni che ho a che fare con questo mondo. Però ai ragazzi dico sempre che devono essere curiosi, osservare tanto, leggere, andare in giro, studiare. Mai essere prevenuti, vedere come si presentano e cosa raccontano. Ne ho visti tanti, c’è qualcuno che neanche ti rivolge la parola, ma poi guardi i suoi progetti e scopri un mondo.
Ho perso il conto, ma sono tantissime: solo alcune recenti, iF Product Design Award, London Design Biennale International Advisory Committee & Jury, Premio Henraux, Samsung Young Design Award, Wanted Design Launch Pad, World Design Capital, Philip Johnson Architecture & Design Committee del MoMA, Hublot Prize.
È un premio molto audace perché in grado di incoraggiare una giovane o un giovane designer nella sua strada. Lanciato nel 2015 da Jean-Claude Biver e Pierre Keller per festeggiare i 10 anni del modello best seller Big Bang, oggi aiuta le promesse nel design. È importante perché non sempre è facile intraprendere questa carriera: un premio da 100mila franchi è una buona spinta. Poi nella giuria ero in ottima compagnia: Hans Ulrich Obrist, Alice Rawsthorn, Formafantasma, che avevano vinto, tra l’altro, nel 2018.
La mattina mi sveglio prestissimo, leggo il giornale prima dell’alba, guardo le newsletter, rispondo alle mail anche dei miei ragazzi che mi chiedono consigli e suggerimenti. Poi mi alzo, vado sul terrazzo e mi occupo di piante e foglie. Quindi una colazione alla venezuelana, ricca e salata, poi di nuovo un occhio alle notizie. Doccia, armadio e ufficio. Iniziano le riunioni, gli appuntamenti, i pranzi di lavoro. Da buona sudamericana rispetto la siesta, poi torno in ufficio e ricomincio a lavorare. La sera, se non sono fuori, adoro cucinare e organizzare cene con gli amici. Ma anche un bicchiere con latte e miele è un toccasana per un sonno sereno.
Ogni tanto lo chiedo a mio figlio: “Ma me lo merito”? Alla base c’è soprattutto la passione, quella di stare insieme ai giovani. Le loro energie ti fanno vivere, ma la mia storia inizia da lontano.
Ho iniziato a lavorare tanti anni fa con Piero Busnelli e Cesare Cassina, nessuna università mi avrebbe dato quello che mi ha dato la professione. Eravamo seduti a pochi metri di distanza Busnelli e io. Sono stata la sua voce, ero dentro il suo ufficio perché voleva che sentissi tutto, lui mi parlava o in italiano o in brianzolo, poi dovevo tradurre in italiano, inglese, francese o spagnolo. C’erano un giro di persone come Afra e Tobia Scarpa, Mario Bellini, Marco Zanuso, Richard Sapper, Paolo Piva, Antonio Citterio.
Non faccio nomi, ma di talenti ce ne sono davvero tanti.
È vero, come ci fosse una specie di nostalgia. Bisogna guardare al futuro, di ragazze e ragazzi, da tutto il mondo, ce ne sono tanti. Il design è una passione di cui prendersi cura che continua a crescere, bisogna occuparsene come fa un giardiniere con una pianta in giardino.
Il successo non è Marva Griffin, ma l’industria italiana che viene e prende il giovane o la giovane da ogni parte del mondo. È la speranza di chi, a suo volta, arriva a Milano per mostrare la sua creatività ai produttori italiani.
I ragazzi vogliono far vedere il loro lavoro, anche se adesso riscontro quella voglia di avere un po’ di notorietà. A volte mi sono sbagliata nel giudicare le persone, invece incontrandole e conoscendole cambio il mio parere. In passato ho giudicato in fretta e poi mi sono dovuta ricredere. Mi piace l’idea di approfondire una conoscenza e cambiare il mio giudizio, per quello vado cauta.
Non credo. Parto dal presupposto che non sono solo io a dover giudicare. Sono qui per imparare. Sempre.
Non essere aggressive, ma avere un grande potere decisionale. È importante anche essere empatiche. Sono sempre stata parte di una minoranza: straniera, sudamericana, donna! L’importante è essere preparata e non vendere fumo. Se devi fare un lavoro, sii consapevole di quello che fai e di quello che dici. Poi fissa un obiettivo ben preciso e chiaro nella mente. Tanto hai due possibilità: o ti dicono di sì o ti dicono di no. Poi non ti ferma più nessuno.