Un fenomeno da museo. Le sneaker in mostra tra storia, glamour e tecnologia.

PUMA x MIT Design Lab

PUMA per MIT Design Lab - Biorealize Breathing Shoe

Oltre 200 modelli al Design Museum di Londra. Nate per lo sport, poi simbolo culturale, icone di stile, pezzi da collezione. E, ora, esempio di upcycling e design sostenibile.

“El purtava i scarp de tennis”… Come sembrano lontane quell’epoca e quelle scarpe, indossate nell’immaginario della canzone da “un barbun”, mentre nella realtà del cantautore milanese (Enzo Jannacci, per la cronaca) vestono un riferimento autobiografico della sua giovinezza.

Diciamo che le scarpe da tennis, o da ginnastica come venivano indicate negli anni ’60, ne hanno fatta di strada: da simbolo di ribellione ed emancipazione (leggi James Dean con le sue All Star in Gioventù bruciata) a fenomeno di massa fino a status symbol. Dal marciapiede delle periferie americane sono arrivate ai grandi musei. Già nel 2019, alla XXII Esposizione Triennale di Milano Broken Nature, abbiamo visto esposta la Concept Shoe, realizzata con filati e plastica riciclata, frutto della collaborazione tra Adidas e Parley for the Oceans, rete internazionale di associazioni dedita al recupero e riutilizzo dei detriti di plastica nei mari. E ora, oltre 200 esemplari, sono in mostra al Design Museum di Londra, fino al 24 ottobre prossimo, con il titolo Sneakers Unboxed: Studio to Street.

Adidas per Rick Owens

Adidas per Rick Owens, Springblade High - Foto by Ed Reeve 

Se già gli antichi greci e indiani utilizzavano speciali scarpe o accorgimenti per praticare sport, è a metà Ottocento che gli inglesi creano la prima vera scarpa sportiva, con suola di gomma e tomaia in tela che, una volta sbarcata negli Stati Uniti, viene battezzata con il nome di sneaker, dal verbo to sneak, muoversi silenziosamente. Pare sia stato un ufficiale di polizia britannico ad aver coniato per la prima volta questo termine perché questo tipo di calzature erano più silenziose delle abituali in cuoio e, quindi, perfette per catturare i ladri. Oggi le sneaker sono assurte a oggetto da collezione battuto alle aste di Sotheby’s e Christie’s per cifre stratosferiche.

Converse Big 9

Converse Big 9 - Foto by Ed Reeve 

”Un fenomeno che ha cambiato le performance del design, ispirato culture, e stravolto il mondo della moda”: così il tempio del design londinese sintetizza l’oggetto-sneaker rendendogli omaggio con questo evento, già un cult. “La mostra” dichiara la curatrice Ligaya Salazar, “rivela il ruolo che i giovani di diversi background hanno svolto nel trasformare le sneaker in icone di stile e nel guidare un settore che ora vale miliardi”. E che nel 2030 si aggirerà sui 30 miliardi di dollari, secondo le stime di StockX, sito di ecommerce specializzato nella rivendita di sneaker e sponsor della mostra. “La mostra”, continua la curatrice “offre anche informazioni dietro le quinte di nuove pratiche di upcycling e design sostenibile, prototipi invisibili che predicono il futuro del design”.

Nike Air Monarch IV

Nike per Martine Rose, Air Monarch IV - Foto by Ed Reeve 

Nate nella New York degli anni ’70 in ambito sportivo, come le sue antenate, gli appassionati di pallacanestro e le comunità hip-pop hanno grandemente contribuito a trasformare le sneaker in oggetti del desiderio e status symbol, anche grazie alle attenzioni di celebri personaggi, dai cestisti Clyde Frazier, Chuck Taylor e Michael Jordan al gruppo musicale Run DMC o al rapper Kanye West. Un successo planetario creato anche dalla reinvenzione di un fenomeno “di strada” da parte di brand del lusso come Balenciaga, Burberry, Comme des Garçons, Gucci, Louis Vuitton, fra i molti. E che ha visto la popstar Rihanna diventare direttrice creativa di Puma nel 2014. Momento fondamentale dell’exploit di queste calzature è stato anche il passaggio dal colore bianco (rimasto per molto tempo obbligatorio in ambito sportivo) a una palette sempre più variopinta.

Coverse Chuck Taylor All Star Lugged

Converse per A-COLD-WALL, Chuck Taylor All Star Lugged - Foto by Ed Reeve 

Lo sguardo della mostra suddivisa nelle sezioni “Stile” e “Performance” si allarga poi verso altri veicolatori del successo sneaker: gruppi o movimenti, come quelli degli Skaters della West Coast, gli inglesi Casuals, i Bubblehead a Cape Town o la scena musicale Grime, arrivando fino a Tokyo, dove iniziano le collaborazioni tra boutique di streetwear e designer ad esempio le prime Adidas con Yohji Yamamoto che hanno decisamente cambiato le regole del settore. La mostra include anche quel mondo di piccoli rivenditori che hanno contribuito alla diffusione delle scarpe nel mondo intero, come Footwork e Reed Space a New York o Patta ad Amsterdam.

La mostra si spinge ancora oltre, cercando di capire se la passione per questo tipo di calzatura fosse pura a sé stessa o avesse fini commerciali. Certo è che è un mercato in continua crescita: anche nello scorso annus horribilis 2020 ha visto la nascita di edizioni limitate e collaborazioni particolari come, per citarne una, quella di Kanye West e Pharell Williams per Adidas.

Jordan I Retro High

Nike Jordan per Travis Scott, Jordan I Retro High - Foto by Ed Reeve 

Il caleidoscopico parterre di marchi dai classici Adidas e Nike alle iconiche Converse All Star fino a quelli di riferimento per alcune subculture giovanili, come Reebok, Vans e Asics sono tra i protagonisti dell’esposizione che offre un viaggio anche nei materiali e nella tecnologia della produzione. Si passa dalle Converse Big 9 degli anni ’50 alle Micropacer di Adidas degli anni ’80, fino alle più recenti cinque dita di Vibram che simulano la corsa a piedi nudi, all’Instanpump Fury di Reebok, alle prime scarpe biologiche che respirano utilizzando lo schema del calore dei piedi messo a punto dal Mit Design Lab e Biorealize per Puma, al brand Satoshi, specializzato in certificazioni blockchain. Il viaggio prosegue nel futuro con il robot Future.Craft Strung disegnato da Kram/Weisshhaar per Adidas in grado di produrre tomaie sul posto.