Judd House: la via del vuoto passa da Lower Manhattan

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Frank Stella, Gur II, 1967 with table by Donald Judd and chairs by Gerrit Rietveld, 4th floor, 101 Spring Street, Judd Foundation, New York. Photo Brian Ferry © Judd Foundation.

Nel 2010 la Judd Foundation ha intrapreso il percorso di restauro, concluso nel 2013 con l'apertura al pubblico, di una delle più straordinarie case d'artista su suolo americano: si tratta di un museo, di un progetto di interni di straordinaria eleganza nonché di uno statement critico spartiacque a proposito del concetto di installazione.

Donald Judd (1929-1994) fu un reticente capofila del minimalismo, avendo sempre rifiutato la riduzione di prassi singolari sotto un'unica ala critica. Si può invece dire tranquillamente che fu uno degli artisti americani più significativi del secolo scorso. Nonché uno dei più riconoscibili se la sua opera si dirama lungo linee di continuità (prima scatole e parallelepipedi in compensato o metallo oppure oggetti funzionali reimmaginati e poi le grandi realizzazioni architettoniche in acciaio Corten) inseguendo la scomparsa della soggettività verso la mimesi della produzione industriale. Queste peculiarità lo pongono in una posizione ugualmente influente nei confronti dell'arte, dell'architettura e del design. Judd alimentava la poetica zen della sottrazione, della scomparsa, del vuoto contemplando il deserto, elemento che ossessionerà l'artista tutta la vita, al punto che alcune delle sue prime case d'artista saranno appunto a Marfa, nella Bassa California (Texas ndr).

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Kitchen, 2nd floor, 101 Spring Street, Judd Foundation, New York. Photo Matthew Millman © Judd Foundation.

Nel novembre 1968, quando Lower Manhattan era ancora una zona avventurosa, rovinata e traboccante di creatività di ogni genere, Judd acquista un edificio a centinaia di chilometri dal deserto più vicino. Si tratta di una palazzina in ghisa progettata da Nicholas Whyte nel 1870, nel mezzo del Cast Iron District, un edificio che aveva, in origine, una destinazione industriale e commerciale legata all'industria tessile. La sistemazione è radicale perché, quando Judd prende possesso dell'edificio, lo trova in condizioni pietose, stracolmo di rifiuti, tanto che "Arman avrebbe potuto acquistarlo e lasciarlo com'era". Judd si mette a restaurarlo cercando di mantenere intatte le specifiche formali e funzionali. Tiene gli open space, non aggiunge muri divisori, piuttosto si impegna a liberare le linee e far riemergere le caratteristiche originarie, come gli elementi decorativi in ghisa. Ci sono cinque piani, a ognuno una missione tra le fondamentali "sleeping, eating, working". La funzione ulteriore viene di conseguenza: la casa di Spring Street 101 è acquistata allo scopo di organizzare uno spazio espositivo coerente con le tesi dell'artista.

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David Novros, no title / 101 Spring Street, 1970, 2nd floor, 101 Spring Street, Judd Foundation, New York. Photo © Kelly Marshall.

Judd aveva cominciato a disegnare da sé gli arredi delle sue residenze in parte per raggiungere il massimo grado di coerenza dell'insieme, in parte - per sua stessa ammissione - perché non poteva permettersi di acquistare i pezzi pregiati che avrebbe desiderato. Alcuni pezzi esposti nella casa di Manhattan, per esempio il letto al quinto piano, sono tra i suoi primi esperimenti in merito. Ponendosi come opera d'arte totale, composita, che ospita oltre mille pezzi artistici singoli, casa Judd è uno dei capostipiti del concetto di "installazione permanente" dove il contesto e le opere singole si significano a vicenda grazie alle relazioni spaziali. "Ogni aspetto venne inteso, fin dal primo momento, per essere attentamente considerato e per essere permanente (...) L'installazione dei miei lavori e dei lavori altrui è contemporanea alla sua creazione. L'opera non è smembrata spazialmente, socialmente, cronologicamente, come in molti musei. Lo spazio che circonda il mio lavoro ne è un aspetto cruciale: si è ragionato sull'installazione quanto sull'opera stessa". Così chiosava lo stesso Judd. Si può immaginare una certa simpatia tra la prima vita del palazzo e l'aspetto laborioso e austero, che prende dal legno l'aspetto vissuto, successivo al restauro. Sicuramente è rivoluzionato il senso dello spazio che, tutto-zen, prende la via del vuoto e dell'isolamento significante dei singoli pezzi d'arte o arredo.

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Donald Judd, untitled, 1969 with furniture by Alvar Aalto, 3rd floor, 101 Spring Street, Judd Foundation, New York. Photo Justin Chung © Judd Foundation.

Sono esposte molti lavori del padrone di casa ma ancora più numerose sono le opere altrui. La collezione è disparata per epoche, medium, aree geografiche e stili. Comprende Jean Arp, Larry Bell, John Chamberlain, Honoré Daumier, Stuart Davis, Marcel Duchamp, Dan Flavin, David Novros, Claes Oldenburg, Ad Reinhardt, Lucas Samaras, Frank Stella, and H.C. Westermann; pezzi d'arredo di Alvar Aalto, Gerrit Rietveld, Michel Thonet oltre che dello stesso Judd. Sono inoltre presenti oggetti e tessuti cerimoniali o decorativi tribali di provenienza eterogenea irrobustendo il connubio minimalismo - arte rituale non europea che tanto successo avrà in tutto il mondo (vedi Villa Panza a Varese).

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Works by Dan Flavin, Donald Judd, John Chamberlain, and Lucas Samaras with platform bed by Donald Judd, 5th floor, 101 Spring Street, Judd Foundation, New York. Photo Matthew Millman © Judd Foundation.

Copyright:

Donald Judd Art © 2021 Judd Foundation / Artists Rights Society (ARS), New York
Dan Flavin Art © Stephen Flavin / Artists Rights Society (ARS), New York
Art © Estate of Ad Reinhardt / Artists Rights Society (ARS), New York
Art © Lucas Samaras
Art © David Novros / Artists Rights Society (ARS), New York
Art © Frank Stella / Artists Rights Society (ARS), New York
John Chamberlain Art © Fairweather & Fairweather LTD / Artists Rights Society (ARS), New York