“supersalone”, parola allo Studio Folder

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Progettisti dell’identità di questa edizione speciale del Salone del Mobile.Milano, Studio Folder ci spiega perché è importante questo evento e come potrebbe ispirarne altri 

Dal 2011 lavorate insieme come Studio Folder, Agency for Visual Research. I vostri progetti sono caratterizzati da una grande interdisciplinarietà (scienza, tecnologia, geografia...). Come si è sviluppato questo approccio alla comunicazione?

Come studio che si occupa di design siamo sempre stati caratterizzati da una forte curiosità verso altri campi disciplinari, convinti che la progettazione visiva sia prima di tutto un esercizio di (ri-)organizzazione del sapere, prima che una disciplina a sé stante o una professione. Negli anni, esplorando questa pratica attraverso i progetti che abbiamo sviluppato, abbiamo sempre cercato collaboratori con formazioni e competenze diverse, con lo scopo di testare e ridefinire con frequenza i modi e gli assetti con cui uno studio può operare.

Il nome stesso dello studio, Folder, richiama un po’ questo metodo. Com’è nato?

La parola Folder richiama significati diversi fra loro affini: la radice deriva dal verbo to fold, piegare, che intendiamo come l’atto di trasformare una superficie bidimensionale in una struttura tridimensionale. Quest’operazione ci è sembrata da subito una buona metafora per descrivere un lavoro che aspira a introdurre ordine e complessità in qualcosa che altrimenti sarebbe piatto, senza variazioni. Il significato più letterale del termine inglese folder, poi, si può rendere in italiano con “raccoglitore”, e in questo senso si collega al nostro lavoro inteso come opera di osservazione, selezione e classificazione della realtà. Per noi il design è un lavoro che ridefinisce sempre i contenuti e i modi della comunicazione, creando nuovi codici e indici per la trasmissione della conoscenza. Parallelamente a questo, abbiamo sviluppato un interesse verso gli strumenti della progettazione, da quelli concettuali a quelli materiali: da qui l’attenzione nei nostri lavori verso le tecnologie e le politiche di produzione e manipolazione dell’informazione.

Sulla base di questo desiderio, come affrontate quindi un progetto?

Il nostro lavoro inizia sempre con una ricerca visiva dalla forte componente storica: questo ci permette di creare un sistema di riferimenti per le diverse dimensioni di un tema e le sue connessioni con l’attualità. La grande disponibilità e accessibilità di archivi online di varia natura è in questo una risorsa fondamentale per l’esplorazione di analogie, rimandi e contaminazioni fra idee e media differenti: molto spesso le nostre proposte progettuali nascono dal mettere in evidenza questi collegamenti sotterranei.

La vostra sensibilità progettuale infatti vi avvicina molto al concept di questo supersalone, come nasce la collaborazione? Potete farmi un esempio di queste scelte progettuali sopracitate?

Stefano Boeri ci ha coinvolto nel progetto in medias res. Con lui avevamo già collaborato in occasione della Biennale di Architettura del 2014, curata da Rem Koolhaas, all’interno della quale eravamo presenti sotto varie vesti, fra cui quella di art director di the Tomorrow, una piattaforma digitale pensata come una moderna “Repubblica delle Lettere”.

Crediamo che questo Supersalone abbia la possibilità di ridefinire alcuni aspetti di un evento la cui scala e rilevanza impongono una forte responsabilità su questioni legate all’economia, accessibilità e sostenibilità del design. In questo senso, ci siamo impegnati affinché il progetto di comunicazione promuova alcune buone pratiche in merito al riuso e alla circolarità dei materiali. Un esempio concreto è la decisione di non intervenire graficamente su molte delle superfici presenti negli allestimenti di Fiera Milano: in questo modo favoriamo il riutilizzo di migliaia di metri quadri di tessuto e aiutiamo l’evento ad avere un minore impatto ambientale.

Com’è nato il concept per l’identità del supersalone?

Ci siamo innanzitutto fatti ispirare da un lavoro di ricerca fotografica e d’archivio che potesse esprimere alcuni valori chiave del progetto curatoriale, soprattutto quelli legati alla partecipazione e all’idea di scoperta di qualcosa di nuovo. Un nostro primo riferimento è stato il Dot Pattern di Ray Eames, un motivo generato probabilmente dall’ombra di una delle sedie presenti all’interno del suo studio, e che rimanda alla geometria dell’oggetti, ma che, se decontestualizzato, assume un significato più ampio e può diventare un linguaggio. Abbiamo poi cercato di creare un dialogo formale fra motivi grafici bidimensionali e alcuni elementi architettonici che caratterizzano i prospetti dei moduli dell'allestimento.

Il progetto del logotipo è partito dalla scelta di un carattere tipografico della fonderia digitale Florian Karsten Typefaces—FK Display, di Květoslav Bartoš—sul quale siamo intervenuti modificando alcune lettere e integrando un sistema di pieni e vuoti a geometria dinamica per creare un’identità fluida.

Quali sono stati gli aspetti più importanti durante la progettazione?

Si tratta di un progetto a grande scala per cui abbiamo cercato di sviluppare un’idea semplice e alcune regole che ci permettessero di affrontare con agilità e prontezza il grande volume di esecutivi da produrre. L’intero sistema di comunicazione è basato su un sistema molto limitato di forme di base, e una serie di permutazioni che ci ha permesso di generare moltissime varianti.

Il risultato è un’identità che crediamo sia fortemente riconoscibile, e allo stesso tempo capace di adattarsi a scale e formati—sia a stampa che digitali—fra loro molto diversi. Con il team di Supersalone sono state poi discusse molte scelte progettuali concrete, soprattutto sul trattamento dei materiali, analizzandone le implicazioni ecologiche ed economiche. In generale c’è la volontà di dare contributo ad un progetto che può avere molte potenzialità, non solo per Milano, ma come riferimento per tutti gli eventi del settore.

Quindi cosa ne pensate di questo supersalone?

Siamo contenti di aver avuto la possibilità di partecipare alla progettazione di un evento così complesso e che tocca interessi ed aspettative di una così larga parte degli operatori del design. Al momento siamo in attesa di vedere il risultato finale e di osservare come venga recepito.

Pensiamo che la commistione e la compresenza in un unico spazio di aziende, makers, scuole e open talks crei una piattaforma di confronto sui temi del progetto e dell’economia del prodotto, solitamente assente da un evento dalla natura prettamente commerciale. In questo, Supersalone si differenzia radicalmente dalle edizioni precedenti del Salone, e cerca di dare uno sguardo sul panorama attuale del design un po’ più aperto ed orizzontale. Questo format ha la possibilità di ispirare una fiera la cui responsabilità nei confronti dell’emergenza ambientale che viviamo è evidente: il dispendio di risorse, materiali, energia per un evento così breve, da parte di un’industria che dovrebbe porsi come primo problema il rispetto e l’ottimizzazione delle risorse planetarie, è una criticità fondamentale.

La scelta di aprire i padiglioni al pubblico per tutta la durata dell’evento e di presentare i prodotti e le ricerche di studenti, designer emergenti, maker e laboratori indipendenti a fianco dei brand e delle aziende più note è indubbiamente uno dei caratteri più forti di questa curatela. Il contesto espositivo più simile a quello di un’esposizione che a quello di una fiera— presentando prodotti molto diversi fra loro senza la mediazione di grandi architetture effimere che ne amplifichino aspirazione e status—ha il potere di ridefinire alcuni degli equilibri di valore e mercato che da molto dominano il mondo del design.

4 settembre 2021