Giocare con la trasformazione, la parola a Ron Arad

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ALPI, “If I were a Carpenter”, Oh Void, design Ron Arad. Photo Pierpaolo Ferrari

Un filo conduttore che inizia nel 1988 con la poltrona Big Easy in acciaio, passa per lo stampaggio rotazionale del polietilene, per arrivare alla resina epossidica e infine alla versione in legno di Alpi

Nel corso di un’intervista video con Alpi, ha affermato che il periodo degli “arresti domiciliari” è stato per lei fonte di ispirazione. Potrebbe parlarcene?

Sta parlando del periodo del Covid, immagino. Io ho una grande fortuna perché il posto dove abito mi piace. Ho una serra che ho costruito, affacciata sul giardino. Ma non sono stato molto fortunato perché mi trovavo agli arresti domiciliari anche per ragioni di salute personali, non potevo uscire. Mi ha stupito capire quante cose potevo fare stando a casa. 

Avevo bisogno di parlare alla gente, al mio team, alle persone che erano “dall’altra parte”. Una diversa concentrazione e forse anche più tempo, perché non ci si spostava e non si perdeva tempo andando fisicamente alle riunioni. La mia matita, gli schermi, le mie cose sono diventate il centro del mondo. Mi sorprendo quando guardo i lavori che ho fatto recentemente, tutti durante il lockdown. 

Oggi è il primo giorno che passo interamente in studio, perché dobbiamo finire una cosa che deve essere consegnata domani. Penso che forse sia stata una buona idea accettare di fare questa cosa. Forse no. È un progetto divertente commissionato dal Museum of Architecture di Londra, chiamato “La città di pan di zenzero”. Hanno chiesto ad architetti di tutti i tipi di occuparsi di un pezzo dell’architettura. C’è un lato che è fatto di dolci e glassa, ed è come un prodotto di pasticceria. Io lavoro con il mio team alla creazione di un modello architettonico fatto di biscotti. La struttura è fatta di dolci, ed è valida quanto quella della Sydney Opera House. Mi piace fare le colate e non potevo colare la cioccolata da casa. 

Anche l’opera che ho esposto al Salone del Mobile di Milano l’anno scorso, la Love Song di marmo (realizzata da Citco con illuminazione di iGuzzini) è stata creata a casa. Il signore di Verona è venuto a trovarmi e mi ha chiesto: “Ha qualcosa di difficile da farmi fare?” Ho risposto: “è sicuro di quello che dice?” Gli abbiamo dato una cosa veramente difficile, e lui l’ha fatta.

Non ho visto il pezzo né l’ho toccato. L’ho visto solo nei video mentre lo costruivano. Lo stesso è accaduto con Alpi. Neppure durante la produzione. Mi hanno mandato dei modelli. Era facile decidere che cosa fare per Alpi, perché loro fanno pannelli, assi. Sapevo esattamente che cosa avremmo realizzato, ma niente è come vederlo nella realtà.  Allora, qual è l’uso migliore delle assi? Affettarle. Anche il modo in cui affettarle. Ho scelto come fare gli strati in modo da avere un buon risultato. Io uso acciaio e corten per avere un effetto di colori diversi; è un vero piacere lavorare con Vittorio Alpi e il suo team. È stato uno dei progetti più facili da sviluppare.

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Ron Arad, photo Asa Bruno

Perché dice che è stato il progetto più facile?

Sapevo dall’inizio che cosa gli avremmo dato. Per noi è facile fare la parte digitale e Vittorio ha gente che lavora il legno molto bene. Anche quando mi ha chiesto quale potesse essere il nome della mostra e io ho suggerito “If I were a carpenter”, gli è immediatamente piaciuto, ma i più giovani attorno a lui non capivano perché.

“If I were a carpenter” è il titolo di una canzone di Tim Harding degli anni sessanta. Molti l’anno cantata, come Bob Dylan e Johnny Cash. Ci sono tantissime interpretazioni di questa canzone. Anche per quanto riguarda la canzone: non ho dovuto stare a pensare al nome. Mi è venuto. Tutto è avvenuto con facilità. Non ho mai incontrato Vittorio di persona, solo per iscritto e in conversazione.

Abbiamo fatto una cosa assieme, abbiamo semplicemente aspettato il momento giusto. Sono sicuro che la prossima volta che verrà a Londra verrà a trovarmi, e la prossima volta che sarò in Italia andrò a trovare lui.

 

Lei si sposta da un materiale all’altro.

Tutti i materiali sono buoni. C’è stato un tempo nella mia vita in cui ero più legato al metallo, perché avevo un’officina di lavorazione del metallo, ma non volevo diventare un artigiano, quindi mi sono fermato.  

Tutti i materiali sono buoni. Dipende da che cosa ci fai. Non ci sono materiali cattivi, colori cattivi, processi cattivi. La domanda è: come usarlo? A volte ci si imbatte in un nuovo materiale o in un nuovo processo, e ci si chiede “come lo posso usare?”. Altre volte si ha una buona idea e si pensa “che materiale dovrei usare?”. Quindi non è una cosa o l’altra, è un percorso bidirezionale.

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ALPI, “If I were a Carpenter”, Big Easy, design Ron Arad. Photo Pierpaolo Ferrari

Vale lo stesso per il colore?

Negli anni '80 ho conosciuto per la prima volta Barbara Radice e Ettore Sottsass in un bar. Lei ha detto: “Ron, a te non piace il colore”. Ho risposto: “Io adoro I colori”. È per questo che non voglio coprire il colore con la pittura. Amo il colore del legno. Amo il colore del cemento. Amo il colore del metallo. 

Ettore Sottsass ha scritto l’introduzione al libro “Ron Arad Associates: One Off Three” edito da Artemis. Non l’avevo letto da trent’anni, recentemente l’ho fatto: è fantastico. Parla dell’incontro con me.

 

Sembra che lei abbia sempre la stessa energia.

Una volta ero giovane, ma ora sono un vecchio, per cui non ho idee, non ho energia né curiosità. Niente mi rende felice… (Ron sta parlando con ironia) … Non sono cambiato molto da quando avevo otto anni. Sono molto simile. 

 

Deve avere molta più esperienza, e probabilmente questo la aiuta?

Non si tratta solo di esperienza. Per me è anche più facile avere un’idea e farla eseguire. Sono certo che tanti giovani designer hanno tantissime idee, ma è dura se non sei ancora “arrivato”, se non ti sei fatto un nome. È più difficile ma non è impossibile, e se qualcuno ha davvero qualcosa di valido da dire, verrà fuori, si manifesterà.  

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Citco, Love Song, design Ron Arad, photo courtesy

Ha dei progetti per il prossimo Salone del Mobile di Milano?

Sto lavorando con alcune aziende italiane. Stiamo sperimentando... 

Un’altra nuova esperienza che mi è capitata è stata lavorare con Queeboo. Non avevo mai lavorato con Stefano Giovannoni prima. Lo ammiro molto e quando mi ha chiamato era quasi scontato quale pezzo sarebbe stato adatto alla sua collezione un po’ poppy. Sono felicissimo che stiamo preparando due nuovi pezzi per il Salone del Mobile di Milano. È interessante lavorare con lui. Non è un produttore, è anche lui un designer. C’è un diverso tipo di affinità, anche questo mi piace. 

Non ho mai smesso di lavorare con tutti i tipi di materiale: plastica, tappezzeria, legno, metallo, luce e vetro (Venini).

 

C’è un materiale con cui lei non abbia mai lavorato?

Non ho mai lavorato con il ketchup! Adesso devo andare a lavorare con la cioccolata. L’hanno fusa e io la devo colare.

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Qeeboo, Don't f**k with the mouse, design Ron Arad, photo Elena Iv-skaya

10 gennaio 2023