Didier Fiúza Faustino: “L’importanza della non-comodità”

maat, faustino, salone milano

Exist/Resist, courtesy Fundação EDP-maat. Ph. Pedro Pina

Architetto, artista e designer, Didier Fiúza Faustino presenta la sua prima retrospettiva al MAAT di Lisbona, curata da Pelin Tan. Ci racconta qual è secondo lui il significato del design, ci parla di comfort, e ci suggerisce di mettere in dubbio le norme che seguiamo nella nostra vita

Dopo trent’anni di lavoro all’intersezione tra architettura, arte e design – passati, in realtà, a osservare come il corpo umano attraversi la realtà tra norme, costrizioni, migrazioni, rifugi e contraddizioni – lo “sperimentatore” franco-portoghese Didier Fiúza Faustino, classe 1968, è finalmente protagonista di una retrospettiva di metà carriera al MAAT di Lisbona, aperta fino al 3 marzo 2023. Curata da Pelin Tan e fortemente sponsorizzata dalla direttrice Beatrice Leanza – che con quest’ultima mostra chiuderà il suo mandato al museo – Exist/Resist è da vedere, se non altro, per le domande ben affilate che presenta, attraverso potenti opere che includono prototipi, foto, modelli, installazioni di grande scala, film e oggetti di design multisensoriale.

Faustino indaga le norme sociali e il modo in cui i nostri corpi sono costretti ad adattarsi alla standardizzazione e alle regole, rompendo con il concetto di comfort. La sua sedia in alluminio Love me Tender, ad esempio, sfoggia gambe che terminano con punte affilate: non la si può usare senza pensare che sicuramente danneggerà il contesto architettonico in cui si trova, visto che con il peso quelle punte finirebbero per penetrare e rovinare il pavimento. La mostra si articola intorno a quattro temi principali ricorrenti nel suo lavoro, “Abitazioni e abitare”, “Confini dei corpi”, “Il design come forma di resistenza” e “Agonismo nello spazio pubblico”. Ne abbiamo parlato con lui.

didier faustino, salone milano, maat, lisbona

Exist/Resist, courtesy Fundação EDP-maat. Ph. Bruno Lopes

Finalmente ce l’hai fatta, a esporre in patria!

Sì, ma grazie a una direttrice italiana. 

 

Come hai reagito quando Beatrice Leanza ti ha chiesto di mettere in mostra una retrospettiva sul tuo lavoro?

Mi ha stupito. Le ho chiesto “Sei sicura? Per chi? Per cosa?”. Vedo ancora il mio lavoro come una pratica clandestina, un lavoro di agopuntura per fare domande sulla società. Insieme alla curatrice Pelin Tan, abbiamo pensato che sarebbe stato interessante mettere insieme tutto in una prospettiva, più che una retrospettiva, e così mi sono chiesto “Cos’ho fatto finora?”.

 

Com’è stato guardarti così allo specchio?

Non è stato facile. Non guardavo me stesso, era un’altra persona. Sono ancora uno sconosciuto a me stesso, che si parli di Didier, Fiúza o Faustino. Tutti i progetti che abbiamo riunito hanno la propria storia e personalità, ma li abbiamo messi insieme per creare una famiglia di frammenti individuali. La pandemia è stata un periodo interessante per guardarsi allo specchio, perché abbiamo sviluppato una piattaforma parallela nel nostro studio (Mésarchitecture, ndr) per catalizzare storie, dialogare e interrogarci sulla validità di alcune ipotesi sulle quali ora stiamo lavorando. Ha reso tutto più chiaro: e ora ci dimentichiamo di nuovo tutto. è stato un momento di consapevolezza ma ora siamo di nuovo saltati nell’amnesia. Dimenticare è un bene perché guardare troppo al passato può fare paura. Non possiamo lavorare guardando solo indietro: dobbiamo vivere il presente.

didier faustino, salone milano, maat, lisbona

Exist/Resist, courtesy Fundação EDP-maat. Ph. Bruno Lopes

Incontrare quell’uomo nello specchio ti ha cambiato?

Non credo. Guardando lo spazio espositivo mi metto più nei panni di un designer della mostra.

 

Qual è il messaggio della mostra?

Le opere sono autonome e ciascuna ha il suo messaggio. Ad esempio, Democracia Portátil (Democrazia portatile, ndr) è un luogo mobile dove le persone possono condividere i propri pensieri in sicurezza. Come messaggi nella bottiglia che qualcuno potrà trovare.

 

Le tue opere si collocano tra arte, architettura e design – ma quest’ultimo ha un ruolo fondamentale.

È vero, uso il design per contraddire i comportamenti o le regole. Metto sempre in dubbio qualcosa quando progetto un’opera: ad esempio se lavoro al design di una sedia. Preferisco usare la parola francese dessiner perché ha un significato più ampio, che abbraccia organizzazione, costruzione di un comportamento e utilizzo.

 

Che rapporto hai con i materiali che usi? Sono sempre chiari e ben riconoscibili.

Non sono i materiali a definire il progetto, ma il contrario: dipende dalla narrativa dell’opera. Usare il metallo galvanizzato o scegliere il legno riporta a due significati ben diversi. A me piace il metallo, ad esempio. Lo trovo interessante per via della sua plasticità e perché è facile da lavorare. Le strategie del design sono sempre connesse a una storia e ai quesiti che ci innesti, e il mio lavoro in questo campo ha sempre a che fare con le domande. Prendi ad esempio l’Interrogative Design Group del MIT, presieduto da Krzysztof Wodiczko: mi piace questa idea e penso di essere un designer “interrogativo”. Produco oggetti che non danno risposte, ma a volte porre una domanda è sufficiente.

didier faustino, salone milano, maat, lisbona

Exist/Resist, courtesy Fundação EDP-maat. Ph. Bruno Lopes

Come organizzi il tuo lavoro perché ponga domande?

È del tutto casuale. Sta tutto nelle reazioni, nel piangere di fronte a un’immagine o davanti alla TV, per poi volare in studio a parlarne. Lo studio è organizzato per favorire il dialogo orizzontale tra le persone. Discutiamo, qualcuno porta un’idea, una domanda o un’osservazione, e all’improvviso decidiamo di lavorarci. Lo studio è sparpagliato tra Parigi e Lisbona. La sede parigina è diventata uno studio molto piccolo, più simile a un salotto, un luogo di dibattito; mentre quella di Lisbona è più come un laboratorio dove lavorare. Lisbona è un’isola e Parigi il suo satellite. Io salto sempre da uno all’altro, e la cosa mi rende un po’ matto.

 

Ma ci sei abituato.

Sostengo l’importanza della “non-comodità”. Se teniamo i piedi sempre comodi, finiamo per morire di abitudine. Invece dovremmo dedicare ogni giorno a cercare il modo di restare in déséquilibre. Se trovi l’equilibrio, resti incastrato.

 

Ma siamo stati programmati per andare nel panico di fronte a ogni forma di squilibrio.

Il panico è un momento di grande consapevolezza! Non è facile ma è interessante, perché è illuminante. Quando inizi ad andare nel panico inizi anche a capire: le cose si fanno più ovvie e la situazione più chiara. Non c’è panico quando non si sa nulla: il panico ha a che fare con la pornografia delle cose che diventano così vere che pretendono di essere affrontate, risolte, ed è a quel punto che ci rendiamo conto di dover fare qualcosa.

 

Hai una visione di te stesso nel futuro?

Sono ancora un po’ punk nella mia vita, non vedo ancora con chiarezza il mio lavoro. Probabilmente costruirò un ambiente stabile per la non-comodità dei nostri comportamenti e del nostro pensiero. Il che significa avere la stabilità necessaria per essere libero di continuare a fare domande.

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Exist/Resist, courtesy Fundação EDP-maat. Ph. Bruno Lopes

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Exist/Resist, courtesy Fundação EDP-maat. Ph. Bruno Lopes

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Exist/Resist, courtesy Fundação EDP-maat. Ph. Bruno Lopes

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Exist/Resist, courtesy Fundação EDP-maat. Ph. Bruno Lopes

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25 ottobre 2022