L’impresa della sostenibilità secondo Roberto Monti

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Arper warehouse, photo Mark Mahaney

Il “nuovo” AD di Arper ci spiega visioni, strategie e valori di un’azienda che progetta per migliorare le relazioni. Inclusa la più importante: quella tra uomo e natura

A quasi un anno dalla sua nomina come Amministratore Delegato di Arper, Roberto Monti ci racconta del suo nuovo incarico, del suo impegno nel fare la differenza su tematiche quali sostenibilità e strategia internazionale e di un brand dai “sani” valori, che opera mettendo al centro responsabilità ambientale e benessere delle persone, siano esse dipendenti, fornitori o clienti. Cercando sempre di non perdere in identità, coerenza ed empatia.

Un racconto diretto, onesto e concreto, da cui si percepisce un grande rispetto per l’azienda e il desiderio di vincere, insieme alla squadra, diverse partite fondamentali. Su tutte, quella della circular economy (dato che il metaverso non sarà, nella sua visione, il nuovo eldorado del design).

Come ha conosciuto Arper e cosa l’ha convinta a scegliere l’azienda veneta di proprietà della famiglia Feltrin?

Conoscevo di fama il brand Arper ma ho incontrato Claudio solo qualche anno fa in seno ad AIDAF (Associazione Italiana delle Aziende Familiari), quando era appena stato nominato presidente di FederlegnoArredo. Dialogando, abbiamo compreso di avere pensieri e visioni affini relativamente alle sfide e alle opportunità che l’industria del mobile italiano si trovava ad affrontare. In particolare, Claudio mi ha chiesto una consulenza sul tema della sostenibilità: sono entrato in contatto con l’azienda e i colleghi in Arper e mi sono reso conto di come il brand fosse un “piccolo gioiellino” con forte identità, sani valori, grande potenzialità, al cui centro, vi era, in maniera molto genuina, la responsabilità ambientale. Tutto questo mi ha portato ad accettare la proposta di Claudio Feltrin.

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Roberto Monti, Arper CEO, photo courtesy

Arper ha 15 spazi espositivi in tutto il mondo di cui 6 fungono da sede per le consociate del Gruppo. Gli showroom di Milano, Colonia, Amsterdam, Oslo, Chicago e Los Angeles sono luoghi d’incontro con le comunità locali di designer e architetti. La rete distributiva copre oltre 90 Paesi. E il 91% del fatturato proviene dalle esportazioni. Quali sono i piani per rafforzare questa strategia di crescita?

Ho accettato di entrare in Arper proprio per la sua apertura e vocazione all’internazionalità, per la sua capacità di comprendere mercati e contesti differenti da quello italiano. In questo senso, c’è molto lavoro da fare per nutrire, promuovere e sviluppare questa strategia, aumentare sempre più il livello di “awareness”, reputazione e considerazione, senza ovviamente cambiare l’identità del brand. Vogliamo proseguire su questo percorso con tutto ciò che il brand propone: prodotti ma anche soluzioni per spazi e relazioni. Si tratta di potenziare e ampliare l’offerta per contestualizzarla in ambiti nuovi e cross-settoriali perché, se la versatilità è una delle forze di Arper – che ci permette di inserire il brand in spazi e momenti di vita differenti – questa sua fluidità deve sfruttare al meglio la forza di tutti i nostri punti vendita e trovare anche nuovi touch point.

 

Con queste premesse, quanto calcola possa crescere il brand?

Penso molto, ma è importante stabilire cosa si ritiene essere un “successo” e con quali parametri lo si misura. Al di là di un metro di giudizio puramente economico, a noi sta a cuore la penetrazione del brand e, sebbene il prodotto Arper sia molto conosciuto e ben posizionato, c’è sempre un ampio margine di crescita. Ma vogliamo crescere facendo ciò che è giusto per il brand, per la sua identità, per i suoi valori, senza avere l’ossessione di una “cifra” da raggiungere.

 

Creare un nuovo prodotto significa prendersi cura di ogni fase del suo sviluppo – dal design, alla produzione, al suo impatto ambientale. Quanto è difficile oggi, dato lo scenario economico e politico che stiamo vivendo, essere coerenti con la volontà di non nuocere al pianeta quando parliamo di produzione d’arredo?

Quando si tratta di sviluppare nuovi prodotti e modalità di produzione e distribuzione sostenibili bisogna avere una road map molto forte e concreta che ti consenta di avere forza finanziaria e capacità di incontrare i mercati in modo pertinente. Da una parte, infatti, il consumatore è sempre più sensibile e attento al pianeta, dall’altra non è semplice per lui comprendere fino in fondo cosa una reale responsabilità ambientale comporti a livello di produzione e materiali. Per questo è facile confonderlo. Quindi è molto importante, come azienda, avere una propria “bussola”, essere cosciente e coerente con le proprie scelte e poi farle atterrare nel concreto, nei prodotti e nella comunicazione, senza perdere di vista l’obiettivo.

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Arper, Arcos, design Lievore Altherr, photo Marco Covi

Quali sono le milestone raggiunte e gli obiettivi concreti che vi ponete?

Finora Arper ha fatto un grande lavoro non solo a livello di produzione sostenibile ma anche di sviluppo di standard che sono divenuti punto di riferimento per l’industria del mobile. Certo, a livello di settore, passare da un’economia lineare a una circolare non è semplice e implica sforzi molto maggiori e il coinvolgimento di molti più interlocutori. Noi ci siamo dati una serie di obiettivi come brand attraverso il programma “Ten Jobs in Five Years”, che è trasversale a tutta l’azienda e parte dalla cultura aziendale fino a entrare nel concreto delle operations, comprendendo tutta la catena del valore, dai fornitori a monte a quelli a valle. Tutto ciò si fonda su tre pilastri in cui Arper crede fermamente: Qualità e Benessere per le persone, Transizione da un’economia lineare a circolare, Riduzione dell’impatto ambientale.

 

Sostenibilità, fluidità e cultura sono quindi elementi ormai imprescindibili per il business. Rispetto a quanto ci ha già raccontato, c’è qualcos’altro da aggiungere?

Parlerei di un po’ di fluidità in relazione all’ambiente di vita, quello che noi chiamiamo the project of living. In un mondo in cui le persone si pongono sempre più domande come Dove e come voglio vivere? senza fare una divisione netta tra lavoro e vita privata, è indispensabile che vi sia una sorta di empatia da parte del brand che consenta di sviluppare in un certo modo il prodotto perché poi possa essere inserito al meglio nel contesto, o nei contesti, che l’utente preferisce. Ecco, l’interior design, così come concepito da Arper, porta in sé questo valore aggiunto: non si tratta di “piazzare” un prodotto nello spazio ma di dargli una ragione d’essere in più.

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Arper, sustainable textile used for Kata chair, photo courtesy

Saranno ancora importanti in futuro i negozi fisici? E con l’aspetto della trasformazione digitale che sta diventando sempre più protagonista, tra fiere phygital e ulteriore boom dell'e-commerce, Arper come si comporterà?

Sono convinto che lo spazio fisico continuerà ad avere la sua importanza. Cambierà magari la sua natura, dovrà trovare e offrire nuovi valori ed esperienze. Oggi siamo già tutti passati all’omnichannel: il consumatore non fa tutto su un unico canale, per cui diventa fondamentale comprendere e personalizzare il customer journey, utilizzando il digitale in maniera diversa da quanto si faceva dieci anni fa. Il digitale ha sicuramente la capacità di attrarre, creare interesse e offerta – anche se esistono flagship store pensati per essere puro statement di un brand – ma poi bisogna capire quanto riesca anche a soddisfarla. Nel senso che, nel nostro settore, si vorrà sempre andare in negozio per toccare il materiale, vedere dal vivo un colore, provare un prodotto. Poi si sceglierà come acquistare, ma, intanto, il processo, è stato un mix.

 

Allora il metaverso non sarà un nuovo eldorado per il design?

Sarà complementare e funzionale, avrà un suo ruolo chiave ma non sarà esclusivo. Saranno i brand a decidere quanto vogliono puntare su quella dimensione.

 

La sua principale ambizione in o per Arper?

Per quanto mi riguarda, poter far la differenza. Ma anche il brand ha quest’ambizione: far la differenza come design company e come leading example of responsible business.

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Arper at Salone del Mobile 2022

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Arper, Adell, design Lievore Altherr, photo Salva Lopez

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Arper, Adell, design Lievore Altherr, photo courtesy

Salone del mobile Salone del mobile
17 novembre 2022